Lavami, 2010 – 2018
Graffito su cemento, neon, cm 300×300 – Roma, collezione privata
Il blitz “Lavami” è del 2010 e fu compiuto immaginando come se qualcuno al di sopra di tutti noi (persino del Papa) tracciasse col suo dito gigante una parola-chiave dal sapore nazional-popolare.
La scritta si compone in grande, lettera dopo lettera, sulla cupola della basilica di S. Pietro a Roma, come quelle proiezioni luminose che nel cielo notturno di Gotham City annunciavano l’arrivo di Batman. “Lavami” è un graffito di luce simile a quelli disegnati con le dita sui vetri sporchi delle auto in sosta. Un graffito virtuale che proiettato su uno dei simboli più universali e più contraddittori del nostro immaginario collettivo è un invito all’istituzione che rappresenta a manifestare il suo volto accogliente e profetico piuttosto che quello temporale e opportunistico che troppo spesso la contraddistingue nelle sue prese di posizione caratterizzate da una doppia morale: una per il principe e un’altra per i sudditi.
A distanza di 8 anni, il Blitz si trasforma in un’installazione per una nobile collezione d’arte contemporanea; il gesto apparentemente effimero e temporaneo diviene lavoro permanente ripensato concettualmente e tecnicamente per un contesto domestico e una fruizione decisamente meno pubblica.
Lavami, 2010 – 2018
Graffiti on concrete, neon, dimensions 300×300 cm – Rome, private collection
The “Wash Me” blitz dates back to 2010 and was carried out imagining as if someone above all of us (even the Pope) were to trace a national-popular flavored keyword with their giant finger. The inscription is composed large, letter by letter, on the dome of St. Peter’s Basilica in Rome, like those light projections that in the nighttime sky of Gotham City announced Batman’s arrival. “Wash Me” is a graffiti of light similar to those drawn with fingers on the dirty windows of parked cars. A virtual graffiti projected onto one of the most universal and contradictory symbols of our collective imagination is an invitation to the institution it represents to manifest its welcoming and prophetic face rather than the temporal and opportunistic one that too often distinguishes it in its positions characterized by double standards: one for the ruler and another for the subjects.
Eight years later, the blitz transforms into an installation for a noble contemporary art collection; the seemingly ephemeral and temporary gesture becomes a permanent work rethought conceptually and technically for a domestic context and a decidedly less public fruition.