Tanti auguri e saluti, light-box

Tanti auguri e saluti,  light-box, 2018

light-box, luce intermittente ad alfabeto morse, 40 x 60 cm.

Lampeggia al ritmo del codice morse un light-box con l’immagine di un chiosco di fiori e piante. È uno dei tanti che illuminano incessantemente la notte di Roma, ai quali De Luca ha dedicato una serie di fotografie e un video, attratto dalla sospensione in cui paiono levitare in bolle di luce. La capitale è costellata di queste cellule tropicali aperte 24 ore al giorno, in modo misterioso, enigmatico, quasi come sonde spaziali immerse nel buio cosmico e lanciate come un messaggio di resistenza, di pura sopravvivenza, o solo come un laconico saluto ai passanti. Il messaggio battuto dal lampeggiare morse è: Tanti auguri e saluti. Tutto comincia con un messaggio inviato nello spazio. Era il 1977 e un incauto ottimismo alimentava ancora la convinzione che altre forme di vita intelligenti sarebbero volentieri entrate in contatto con il pianeta terra. Con questo slancio, e con l’incrollabile fiducia statunitense nella propria vocazione a rappresentare l’umanità intera, la NASA spedì nel sistema solare le due sonde Voyager; su ognuna di esse venne caricato il Voyager Golden Record su cui sono registrate immagini, musiche e una raccolta di saluti beneauguranti in diverse lingue, ognuno con una sfumatura caratteristica. La versione italiana dice proprio così, Tanti auguri e saluti, come direbbe la zia chiudendo l’annuale telefonata natalizia, come scrivevano una volta sulle cartoline i parenti lontani, come nessun extraterrestre, nemmeno il più inverosimile, si immaginerebbe mai di poter capire. Le due sonde, si sa, sono ancora in viaggio, con infinitesimali probabilità di raggiungere davvero qualcosa o qualcuno prima di qualche decina di migliaia di anni. Comincia da qui il progetto di Iginio De Luca, dal paradosso implicito in questi saluti che se un giorno si spingeranno fino a un’intelligenza aliena sicuramente la faranno sorridere per la nostra paesana cordialità, per la bonaria irrilevanza dell’augurio.

Pietro Gaglianò

 

Tanti auguri e saluti,  light-box, 2018

light-box, morse code flashing light, 40 x 60 cm.

light-box with the image of a kiosk of flowers and plants flashes to the rhythm of the morse code. It is one of the many that incessantly illuminate the night of Rome, to which De Luca dedicated a series of photographs and a video, attracted by the suspension in which they seem to levitate in bubbles of light. The capital is dotted with these tropical cells open 24 hours a day, in a mysterious, enigmatic way, almost like space probes immersed in cosmic darkness and launched as a message of resistance, of pure survival, or just as a laconic greeting to passers-by. The message typed by the morse flash is: Best wishes and greetings. It all begins with a message sent into space. It was 1977 and a misguided optimism still fueled the belief that other intelligent life forms would willingly come into contact with planet earth. With this momentum, and with the unshakable American confidence in its vocation to represent all of humanity, NASA sent the two Voyager probes into the solar system; the Voyager Golden Record was loaded onto each of them, on which images, music and a collection of auspicious greetings in different languages ​​were recorded, each with a characteristic nuance. The Italian version says exactly that, Best wishes and greetings, as the aunt would say when closing the annual Christmas phone call, as distant relatives once wrote on postcards, as no extraterrestrial, not even the most unlikely one, would ever imagine being able to understand. The two probes, as we know, are still on their way, with infinitesimal chances of actually reaching something or someone before a few tens of thousands of years. Iginio De Luca’s project begins here, from the paradox implicit in these greetings which if one day reach an alien intelligence they will surely make them smile for our village cordiality, for the good-natured irrelevance of the good wishes.

Pietro Gaglianò

Walfish

 

Walfish, 2024

Azione sonora per Lezioni di Resistenza al Quadraro, Roma, 19 aprile 2024.
a cura di Sapzio Y, Officina, DITO Publishing, Alessia Simonetti, Benedetta Monti,
Beatrice Ciotoli, Giulia Fornari,, Irene Iodice e Isabella Vallelunga.

Il titolo in tedesco si riferisce all’operazione di rastrellamento avvenuta il 17 aprile 1944 per mano dei tedeschi al Quadraro (“Operazione Balena” in italiano); è un nome evocativo pur nella sua drammaticità. Partendo da questa suggestione, l’idea è di compiere un’azione sonora per l’intera sera ed estrarre, con le mie mani, risonanze particolari da un vecchio armadio degli anni ’40, evocando suoni inquietanti, allusivi di mondi sommersi, marini e al contempo di memorie storiche, sofferte e stranianti. Il luogo scelto rievoca l’habitat del mobile, essendo stato, lo spazio, sede della storica falegnameria Giubbani.

Grazie a Paolo Assenza e Marco Egizi per la generosa ospitalità.

 

Walfish, 2024

Action for Lessons of Resistance at Quadraro, Rome, April 19, 2024.
Curated by Spazio Y, Officina DITO Publishing, Alessia Simonetti, Benedetta Monti,
Beatrice Ciotoli, Giulia Fornari, Irene Iodice, and Isabella Vallelunga.

The German title refers to the roundup operation that took place on April 17, 1944, by the Germans at Quadraro (“Operation Whale” in Italian); it is an evocative name despite its dramatic nature. Inspired by this, the idea is to perform a sound action throughout the evening and, with my hands, extract particular resonances from an old 1940s wardrobe, evoking unsettling sounds that allude to submerged, marine worlds and, at the same time, historical, painful, and disorienting memories. The chosen location evokes the habitat of the furniture, as the space was once home to the historic Giubbani carpentry.

Thanks to Paolo Assenza and Marco Egizi for their generous hospitality.

Talking Matter

 

Talking Matter, 2023-24

video dell’azione sonora
Progetto realizzato da Latitudo Art Projects
Residenza presso Folkestone Fringe, Folkestone UK (ottobre/novembre 2023)
Main Sponsor: Magic Carpets (Piattaforma Europea cofinanziata dall’Unione Europea).

Il video è stato proiettato all’interno del “Folkestone’s Fishing Heritage and History Museum” nei giorni 16-17-18 febbraio 2024, in occasione del “Profound Sound Festival” di Folkestone, ed è il frutto di una residenza e di un workshop di Iginio De Luca e Luis Do Rosario avvenuti tra ottobre e novembre del 2023 nella stessa cittadina, situata sul mare a sud dell’Inghilterra, di fronte la Manica.
Il senso poetico del lavoro è di legarsi con l’audio al luogo e alle persone che lo abitano; predisporsi all’ascolto, sintonizzarsi sull’identità e la memoria di un territorio tramite i suoni di elementi apparentemente statici, inanimati. Il contatto epidermico e caldo con le superfici di un paesaggio, è il pretesto tattile per estrapolare questi suoni, un’azione immersiva, che contempla un rapporto intimo con la materia che si fa parlante. Il soggetto del video è la mano, protagonista autonoma che viaggia ed esplora e, come uno scanner acustico, provoca le superfici generando suoni. La mano stimola le potenzialità musicali del “Sound Mirror”, gigantesco strumento bellico a forma concava, per l’amplificazione analogica di suoni nemici, per poi scendere in città, passando per i vicoli interni, le ringhiere, le staccionate, le lamiere, le mura domestiche, la chiesa antica e i vecchi binari della ferrovia, portandoci in basso al porto, con i suoni delle carene delle barche ormeggiate nel mare in secca. Tutte le tracce acustiche, infine, confluiscono nei suoni marini, come se la natura inglobasse a se l’intero flusso prodotto che abbraccia, sommerge e fa riemergere simbolicamente una città che s’identifica ciclicamente nel respiro magnetico e lunare delle maree. La fine del video inquadra romanticamente una figura contemplativa di spalle che gradualmente viene raggiunta dal mare e che silenziosamente ci rivolge un invito: close your eyes.

Un grazie speciale a: Jacob Bray (curatore emergente per Folkestone Fringe),
Diane Dever (direttore artistico per Folkestone Fringe).

 

Talking Matter, 2023-24

Video of the sound action
Project realized by Latitudo Art Projects
Residency at Folkestone Fringe, Folkestone UK (October/November 2023)
Main Sponsor: Magic Carpets (European platform co-funded by the European Union).

The video was screened at the “Folkestone’s Fishing Heritage and History Museum” on February 16-17-18, 2024, during the “Profound Sound Festival” in Folkestone. It is the result of a residency and workshop by Iginio De Luca and Luis Do Rosario that took place between October and November 2023 in the same town, located on the sea in southern England, facing the English Channel.
The poetic sense of the work is to connect with the place and the people who inhabit it through audio; to prepare for listening, to tune into the identity and memory of a territory through the sounds of seemingly static, inanimate elements. The epidermal and warm contact with the surfaces of a landscape is the tactile pretext for extracting these sounds, an immersive action that contemplates an intimate relationship with matter that becomes speaking.
The subject of the video is the hand, an autonomous protagonist that travels and explores and, like an acoustic scanner, triggers surfaces generating sounds. The hand stimulates the musical potentials of the “Sound Mirror,” a gigantic concave-shaped war instrument, for the analog amplification of enemy sounds, before descending into the city, passing through the inner alleys, railings, fences, metal sheets, domestic walls, the ancient church, and the old railway tracks, leading us down to the harbor, with the sounds of the hulls of boats moored in the dry sea.
All the acoustic tracks ultimately converge into the sounds of the sea, as if nature were encompassing the entire produced flow, embracing, submerging, and symbolically re-emerging a city that cyclically identifies itself in the magnetic and lunar breath of the tides.
The end of the video romantically frames a contemplative figure from behind, gradually reached by the sea, silently inviting us: close your eyes.

A special thanks to: Jacob Bray (emerging curator for Folkestone Fringe), Diane Dever (artistic director for Folkestone Fringe).

Casaund

Casaund, 2020

Stampa Fine Art su carta Hahnemuhle montata su dibond, 150 x 100 cm.

Nel lavoro fotografico “CASAUND”, ci troviamo di fronte a una potente e simbolica rappresentazione della complessità politica e sociale dell’Italia contemporanea. L’immagine cattura il momento dello sgombero di un edificio occupato da militanti dell’estrema destra italiana, offrendoci uno sguardo incisivo sulla dinamica del potere e della protesta.
La composizione formale e simmetrica dell’opera conferisce una forte carica estetica alla narrazione visiva. Al centro dell’immagine, una bandiera italiana domina lo scenario, simbolo di identità nazionale e appartenenza. Tuttavia, la presenza sovrastante della scritta “CASAPOUND” viene interrotta in modo significativo, lasciandoci intravedere solo “CASAUND”. Questo frammento, apparentemente insignificante, ci spinge a riflettere sul concetto di casa, identità e appartenenza, e sulle complesse tensioni politiche che permeano la società contemporanea.

 

Casaund, 2020

Fine Art print on Hahnemuhle paper,  mounted on dibond, 150 x 100 cm.

In the photographic work “Casaund,” we are faced with a powerful and symbolic representation of the political and social complexity of contemporary Italy. The image captures the moment of the eviction of a building occupied by militants of the Italian far right, offering us an incisive look at the dynamics of power and protest.
The formal and symmetrical composition of the work gives a strong aesthetic charge to the visual narrative. At the center of the image, an Italian flag dominates the scene, symbolizing national identity and belonging. However, the overlying presence of the inscription “CASAPOUND” is significantly interrupted, leaving us glimpsing only “CASAUND.” This fragment, seemingly insignificant, urges us to reflect on the concepts of home, identity, and belonging, and on the complex political tensions that permeate contemporary society.

Sono l’automa e l’ordigno

Sono l’automa e l’ordigno, 2018

Video HD, 16:9, colore sonoro, durata: 4’21”

Il video fa parte di un ciclo di lavori ispirati al poeta e critico d’arte Libero De Libero. Il cognome rievoca quello di un personaggio chiave dell’ambiente culturale italiano degli anni ’30 e ’40 che ebbe un ruolo centrale sia come partigiano che nella riunione degli artisti della scuola romana attorno alla galleria La Cometa.
Oggi per me lui incarna la mia doppia anima, quella politica e quella poetica. In questo video restituisco alla natura le sue frasi ispirate attraverso la mia voce filtrata da un elemento politico: il megafono.
Espando sulle montagne di Fondi la sua poesia atterrando nei suoi luoghi natali che, non a caso, sono anche i miei. Come fossi un moderno Friedrich, mi fondo romanticamente con il paesaggio attraverso un’azione performativa e sonora in cui la parola si mischia al vento, all’eco delle montagne e al frusciare degli alberi.

 

Sono l’automa e l’ordigno, 2018

Video HD, 16:9, color, sound, duration: 4’21”

The video is part of a series of works inspired by the poet and art critic Libero De Libero. His surname re-evokes an essential character in the Italian cultural background in the 30′ and 40′ which had a central role both as a partisan and in the artists’ reunion of the Scuola Romana supported by La Cometa Gallery.
He was the uncle of my dad, and he often came to our house. Since I was a little boy, I was aware of his great sensibility to the extent that today he embodies my double soul, the political and the poetical one. In this video, I give back to nature his sentences using my voice filtered by a political toll: the megaphone.
I emitted to the mountain of Fondi his poem that landed on his natal places, which are also mine. As if I were a contemporary Friedrich, I fuse myself into the landscape through a performative and sound action in which words mix with the wind, the echo of the mountain and the rustle of the trees.

L’Italia è il paese che amo

L’Italia è il paese che amo

Video HD, 16:9, colore, sonoro, durata: 2’54”

La giustapposizione di contesti diversi innesca, nel video, un corto circuito tra due realtà, una spensierata e vacanziera, l’altra politica, ad alto contenuto sociale. Il discorso storico di Silvio Berlusconi, la sua “discesa in campo” del lontano 1994, segna drammaticamente la storia italiana degli ultimi decenni. Un’irruzione epocale di un nuovo e inquietante soggetto elettorale che cambia il vecchio scenario politico. La sua voce vincente e rassicurante funge da colonna sonora per le danze estive di importazione commercial-caraibica; movimenti estranei all’Italia, movimenti d’importazione a basso costo intellettuale. Tutto il resto nel video è affidato al caso e alle coincidenze involontarie che generano tante possibili metafore.

 

L’Italia è il paese che amo

Video HD, 16:9, color, sound, duration: 2’54”

The juxtaposition of different contexts creates, in the video, haywire between the two realities, one which brings a holiday vibe and the other linked to the political and social context. The historical speech of Silvio Berlusconi, and his entry into politics back in 1994, signed the history of the last decade of Italy dramatically. The irruption of a new and disturbing political identity has changed the old political scene. His powerful and reassuring voice has been used as a soundtrack for the summer dance with a background in advertising and Caribbean music; moves unknown to Italy, moves imported for a low intellectual prize. Everything else in the video is left to casualty and the involuntary coincidence that create a multitude of metaphor.

Arrivedorci

Arrivedorci, 2020

Video HD, 16:9, colore, sonoro, durata: 1’33’’

Un piccolo camper abbandonato da anni, un vecchio modello Mercedes parcheggiato in totale solitudine a Roma, vicino le Terme di Caracalla. L’immagine è esagerata, straborda nel colpo d’occhio kitsch che si espone alla fierezza dei luoghi comuni, goffa e trionfante di souvenir patriottici, religiosi e sportivi, emblemi di un accumulo nostalgico, indiscriminato, che addobbano maldestramente a festa un veicolo destinato al viaggio ma che da tempo non viaggia più. L’audio apparentemente ironico e leggero è preso da un famoso episodio di Stanlio e Ollio “Perfect day” del 1929 in cui i protagonisti su una macchina dell’epoca salutano i vicini per un viaggio spensierato che non avverrà mai, c’è sempre un imprevisto che ne impedisce la partenza. Un baraccone della decadenza, un monumento all’ossimoro, all’erranza statica, in attesa forse, di un altro possibile futuro, di un altro giro, di un’altra corsa.

 

Arrivedorci, 2020

Video HD, 16:9, color, sound, duration: 1’33’’

A small caravan abandoned for years, an old Mercedes model parked alone in Rome near the thermal bath in Caracalla. The image is layered, exaggerated and appeared at a glance for its kitsch and stereotypical look. It is awkward and triumphant of patriotic souvenirs, some religious, some sports-related. Flags, soccer team banner, objects and toys are the emblem of nostalgic and indiscriminate accumulations that adorn clumsily a vehicle destined to travel but that for a long time has not been used. The sound outwardly ironic and light-hearted is from a famous episode of Stan & Ollie “Perfect day” (1929), in which the protagonists onboard a typical car of that time wave to their neighbours, ready to go on a trip that will never happen due to a series of unforeseen events. The obsessive and repetitive greetings transform the video into a tragicomic metaphor of Italy’s contemporary situation with a bittersweet and mocking tone. A decadent booth, a monument to the oxymoron, to a static pilgrimage, maybe waiting for another future trip.

Sottobanco

 

Sottobanco, 2019-2021

Progetto “PUPILLE GUSTATIVE” finanziato dal Ministero dell’Istruzione
nell’ambito del “Piano triennale delle arti” a.s. 2019-2020/2020-2021
con gli allievi del Liceo Artistico Statale G.C.Argan
A cura di Claudio Libero Pisano.

L’esperienza di un percorso artistico condiviso è ciò che distingue Sottobanco di Iginio De Luca, nato all’interno del progetto ‘Pupille gustative’ del Liceo Argan, con la partecipazione dell’Istituto Alberghiero di Tor Carbone. Solitamente un artista elabora un’idea che sviluppa in seguito, anche attraverso collaborazioni esterne, in questo caso Sottobanco nasce proprio all’interno delle aule del liceo Argan, dopo i primi incontri con gli studenti. Sono stati loro a sollecitare in Iginio De Luca la curiosità, e il rimando a ricordi personali, verso tutto quanto c’è sotto il banco. E nei lunghi mesi di elaborazione, pre e post-pandemia, il progetto ha preso forma coinvolgendo i ragazzi nell’essere loro stessi parte dell’opera. Gli incontri e le riflessioni cominciate sul finire del 2019 evidenziavano quanto l’uso delle piattaforme digitali avesse cambiato le modalità relazionali tra le persone. Il lockdown, sopraggiunto poco dopo, ha tristemente evidenziato la dipendenza da certi sistemi. La vita reale si è sovrapposta ai ricordi e i testi e gli audio dei ragazzi hanno raccontato anche quei mesi interrotti. Ognuno ha condiviso il suo sottobanco, sia che fosse un’idea strettamente personale e intima o piuttosto una dichiarazione di intenti, una presa di posizione. Sottobanco è lo stato di grazia che per alcuni è il momento in cui, da soli, si disegna, si suona uno strumento, si crea una parte di sé. Il silenzio, il rumore dei passi rassicuranti di una persona amata, il mare, le risate o un urlo liberatorio. La formulazione dell’opera finita di Iginio De Luca è il risultato di tutto questo. Nel corso degli incontri, prima reali poi su piattaforma, l’artista ha raccontato il suo personale sottobanco, i suoi ricordi degli anni di scuola ma anche della sua infanzia e adolescenza. Tutti noi presenti abbiamo raccontato parti delle nostre vite e le abbiamo condivise. Un percorso relazionale che nel tempo ha allentato diffidenza e ritrosie, e gli studenti ci sono stati completamente, nel progettare l’opera di De Luca, della quale sono in qualche modo non solo l’ossatura ma anche testa e cuore.

Claudio Libero Pisano

 

Sottobanco, 2019-2021

Project “PUPILLE GUSTATIVE” funded by the Ministry of Education
as part of the “Three-Year Plan for the Arts” school years 2019-2020/2020-2021
with the students of the G.C. Argan State Art High School
Curated by Claudio Libero Pisano.

The experience of a shared artistic journey is what distinguishes Sottobanco by Iginio De Luca, born within the ‘Pupille Gustative’ project of the Argan High School, with the participation of the Alberghiero Institute of Tor Carbone. Usually, an artist develops an idea that is later elaborated, also through external collaborations. In this case, Sottobanco was born within the classrooms of the Argan high school, after the initial meetings with the students. It was they who sparked in Iginio De Luca curiosity, and a return to personal memories, towards everything that is under the desk. And in the long months of elaboration, pre and post-pandemic, the project took shape involving the students in being themselves part of the work. The meetings and reflections that began in late 2019 highlighted how the use of digital platforms had changed relational modalities between people. The lockdown, which followed shortly after, sadly highlighted the dependence on certain systems. Real life overlapped with memories, and the texts and audios of the students also recounted those interrupted months. Everyone shared their sottobanco, whether it was a strictly personal and intimate idea or rather a declaration of intent, a stance. Sottobanco is the state of grace that for some is the moment when, alone, they draw, play an instrument, create a part of themselves. Silence, the reassuring footsteps of a loved one, the sea, laughter, or a liberating scream. Iginio De Luca’s formulation of the finished work is the result of all this. During the meetings, first real and then on the platform, the artist recounted his personal sottobanco, his memories of school years but also of his childhood and adolescence. All of us present shared parts of our lives. A relational journey that over time loosened mistrust and reluctance, and the students were fully involved in planning De Luca’s work, of which they are in some way not only the backbone but also the head and heart.

Claudio Libero Pisano

Altro giro altra corsa

 

Altro giro, altra corsa, 2020

Manifesto per l’ottava edizione di Flashback, Opera Viva Barriera di Milano, Torino
12 luglio 2020
a cura di Christian Caliandro

Opera Viva Barriera di Milano riparte dunque da questa immagine realizzata da Iginio De Luca per il progetto: un piccolo camper abbandonato da anni, un vecchio modello Mercedes parcheggiato a Roma, vicino alle Terme di Caracalla. Il camper è un’esplosione e un’accumulazione di oggetti, di colori, di linguaggi (kitsch, vernacolari), tra bandiere, gagliardetti, ventagli esotici, modellini e giocattoli. Souvenir patriottici, religiosi e sportivi. Sono, come afferma l’artista stesso, “emblemi di un accumulo nostalgico indiscriminato che addobbano maldestramente a festa un veicolo destinato al viaggio ma che da tempo non viaggia più. Una sosta forzata, consapevole o incosciente, che affida alla memoria dinamica la mappatura di una geografia turistica nazionale, affettiva, che colleziona e trattiene i suoni e le immagini dei suoi spostamenti.”
Si tratta di un’opera che in questo momento risulta, se possibile, ancora più attuale di quando è stata proposta: il titolo Altro giro altra corsa evoca infatti il luna park, una posta in gioco e una scommessa, la ripartenza dopo ogni sconfitta intravista come un miraggio. L’illusione costante e necessaria che sottende il gioco, ogni gioco. Ogni attitudine ludica.
Questo baraccone buffo e al tempo stesso triste è la metafora efficace di una situazione collettiva: un monumento visionario al cadere e al rialzarsi, un sogno perduto che è lì, parcheggiato, in attesa forse di un nuovo, possibile futuro. Di rimettersi in viaggio – contro ogni previsione, contro ogni pensiero razionale.
Di un altro giro, di un’altra corsa.

Christian Caliandro

 

Altro giro, altra corsa, 2020

Billboard for the eighth edition of Flashback, Opera Viva Barriera di Milano, Turin
July 12, 2020
Curated by Christian Caliandro

Opera Viva Barriera di Milano restarts from this image created by Iginio De Luca for the project: a small camper abandoned for years, an old Mercedes model parked in Rome, near the Baths of Caracalla. The camper is an explosion and accumulation of objects, colors, languages (kitsch, vernacular), including flags, pennants, exotic fans, models, and toys. Patriotic, religious, and sports souvenirs. They are, as the artist himself states, “emblems of an indiscriminate nostalgic accumulation that clumsily decorates a vehicle destined for travel but has long ceased to travel. A forced stop, whether conscious or unconscious, that entrusts the dynamic memory with mapping a national, emotional tourist geography, collecting and retaining the sounds and images of its movements.”
This work is, if possible, even more relevant now than when it was proposed: the title “Altro giro altra corsa” evokes the amusement park, a stake and a bet, the restart after each defeat seen as a mirage. The constant and necessary illusion underlying the game, every game. Every playful attitude.
This funny and at the same time sad booth is an effective metaphor for a collective situation: a visionary monument to falling and rising, a lost dream that is there, parked, perhaps waiting for a new, possible future. To set out on a journey again – against all predictions, against all rational thoughts.
For another spin, another race.

Christian Caliandro

Nato a Formia e residente a Roma

 

Catalogo

Nato a Formia e residente a Roma, 2015

Mostra personale,  galleria Gallerati, Roma
31 gennaio – 23 febbraio 2015
a cura di Sabrina Vedovotto

Ancora un’installazione che riconosce alla galleria lo status privilegiato di spazio determinativo dell’arte: di luogo tra quelli felicemente delegati a suggerire assetti plausibili di rilevanti espressioni del contemporaneo. La mostra personale di Iginio de Luca presenta per la prima volta tutto il corpus di lavori video che tracciano un momento di vita vissuta. I video sono presentati attraverso due proiezioni che intersecano e a volte combinano immagini diverse tra loro, che però non stridono mai, ma anzi sembrano dialogare. Video muti e video con un audio fondamentale sbrigliano una tela di memorie e di ricordi.

Carlo Gallerati

 

Nato a Formia e residente a Roma, 2015

Solo exhibition, Gallerati Gallery, Rome
January 31 – February 23  2015
Curated by Sabrina Vedovotto

Yet another installation that acknowledges the gallery’s privileged status as a determinative space for art: a place among those happily delegated to suggest plausible arrangements of significant expressions of the contemporary. Iginio de Luca’s solo exhibition presents for the first time the entire body of video works that trace a moment of lived life. The videos are presented through two projections that intersect and sometimes combine different images, which, however, never clash but instead seem to engage in a dialogue. Mute videos and videos with essential audio unleash a canvas of memories and recollections.

Carlo Gallerati

Sono l’automa e l’ordigno

 

Sono l’automa e l’ordigno, 2018

Azione poetica, Fondi (LT)
A cura di Simone Di Biasio
Associazione culturale Libero de Libero

Il megafono è il protagonista di un’azione a tema in dedica a Libero de Libero e ambientata a Fondi, sua città natale, all’interno della manifestazione organizzata dall’Associazione culturale che porta il suo nome, nel settembre del 2018. Le frasi declamate e stampate su piccoli foglietti colorati che regalo, sono estratte da sue poesie e sono allusive di una condizione ispirata e sognante ma contemporaneamente fiera, sostanziata da un forte senso etico e responsabile. Simbolicamente restituisco la memoria del poeta alla sua città di origine e mi faccio portavoce della sua figura d’intellettuale rivoluzionario, per me costante modello umano e artistico.

 

Sono l’automa e l’ordigno, 2018

Poetic Action, Fondi (LT)
Curated by Simone Di Biasio
Libero de Libero Cultural Association

The megaphone takes center stage in an action themed in dedication to Libero de Libero, set in Fondi, his hometown, as part of the event organized by the cultural association bearing his name in September 2018. The recited phrases and printed on small colorful slips that I gift are extracted from his poems, alluding to an inspired and dreamy yet simultaneously proud condition, substantiated by a strong ethical and responsible sense. Symbolically, I restore the memory of the poet to his hometown and become the spokesperson for his figure as a revolutionary intellectual, a constant human and artistic role model for me.

Ca Maronn c’accumpagn 2013-2023

 

Ca Maronn c’accumpagn 2013-2023

Mostra personale,  galleria Blocco 13, Roma
15 settembre 15 ottobre
a cura di Adriana Polveroni

«A me bastava che i dadi toccassero terra, anche per pochi secondi. Poi, come quasi in tutti i blitz, sarebbe arrivata la polizia, mi avrebbero fermato. Per giunta eravamo a piazza del Quirinale, a pochi metri dalla presidenza della Repubblica, e quindi lo stop era molto prevedibile».
Due grandi dadi toccarono effettivamente terra, rotolarono qualche secondo sotto lo sguardo che Castore e Polluce rivolgono con indifferenza verso il destino di Roma, in quel momento un pessimo destino, non di Roma ma dell’Italia tutta, per via dello stallo politico all’indomani delle elezioni del 2013. Subito dopo arrivò un corpulento carabiniere dall’aspetto bonario che, chissà, quasi quasi si divertiva con quella storia di dadi, di affidarsi alla sorte, alla Madonna, a qualunque cosa pur di uscire da quella patetica impasse dove eravamo finiti. E il blitz di Iginio De Luca ebbe fine. Titolo: ca Maronn c’accumpgn. Anno 2013.
Dieci anni dopo, oggi, 2023, quel blitz prende di nuovo vita, ma in una forma diversa e inconsueta. Diventa un quadro, un grande quadro dipinto con meticolosa attenzione ai dettagli, senza tradirne nessuno. Per cui il carabiniere mantiene la sua aria bonaria mentre intima all’artista di finirla con quell’irriverente auspicio, l’artista continua ad indossare quel curioso grembiule bianco, mentre altri due componenti della squadra rimuovono (in realtà continuando a far rotolare) uno dei due dadi, in lontananza si intravedono altri due carabinieri e, osservando bene la scena, notiamo che le finestre del Quirinale sono chiuse con degli scuri (almeno quelle del primo piano), che il cielo di Roma non splende come a volte riesce a stupire e che, guarda caso, i sanpietrini a terra sono perfettamente allineati, senza neanche uno un po’ storto, sollevato o divelto.
Tutto questo lo apprendiamo dal quadro che ora viene presentato alla galleria Blocco 13 di Roma e che Iginio De Luca ha dipinto, fermando quella scena in un tempo diverso, quale è il tempo lungo, paziente della pittura.
E qui si apre un nuovo capitolo della storia dell’artista, conosciuto per lo più per i suoi blitz, per quelle azioni dal morso situazionista, consumate nell’unità di tempo, luogo e azione, vivificate da quei sottili ma decisivi e spesso irresistibili, slittamenti linguistici, per cui Forza Italia, in una manifestazione di Forzisti, diventa paradossalmente Farsa Italia, con tanto di bandiere mischiate nel corteo, o, più in sordina, la lapide che annuncia Villa Sciarra, si trasforma in Villa Sciatta – memento e metafora di tanti altri insigni, e degradati, luoghi romani – e così via politicamente criticando a suon di ficcanti detournement.
Ma, come lui stesso racconta, Iginio De Luca ha sempre dipinto, pur con «un pudore eccessivo verso la pittura», andando e tornando sulla stessa composizione infinte volte – come si conviene al work in progress, non infiammato dall’istinto gestuale, della pittura – ma non l’ha quasi mai esposta.
«Ho impiegato dieci anni a fare questo quadro, mi piace che sia un ponte tra il blitz del 2013 e il lavoro statico, contemplativo, quasi accademico di oggi. Io nasco figurativo, la mia natura è pittorica e ho un desiderio di pittura molto intenso, perché la pittura ha una profondità enorme mentre la foto è piatta e anche nei miei blitz c’è una figurazione molto forte, un’attenzione ai colori, ma non ho mai mostrato questo lato del mio lavoro. Quindi, in un certo senso questo quadro diventa un blitz con me stesso», racconta De Luca.
Per un artista che ha agito la critica politica con azioni rapide e aggressive, tornare su un’opera del passato con un linguaggio tradizionale, qual è quello della pittura, significa rivedere il proprio lavoro, sfidandolo con una tecnica nuova. Ma, in un certo senso, significa anche rivedere se stessi. Interrogarsi rispetto a quello che si era e confrontarsi con quello che si è oggi.
Sfidarsi quindi, non conoscendone, forse, tutte le conseguenze. Ma senza rinunciare alla cifra più distintiva del suo lavoro. «La critica politica è sempre drammaticamente attuale, nel mio caso fare pittura non denota una scelta estetica, ma diventa un fare politico perché le motivazioni del blitz di allora rimangono attuali. La pittura si contamina, ribadisce che la politica è impotente a gestire i problemi reali delle persone e io denuncio questa realtà con questo quadro. Fermare il tempo, far durare dieci anni quella manciata di secondi, per me significa confermare, in altro modo, la mia posizione di dieci anni fa», afferma De Luca. Che aggiunge: «Ho scelto proprio quel blitz perché non aveva nessun rapporto con la pittura. Presentare oggi solo questo lavoro, con il quale il pubblico dovrà confrontarsi, significa anche riattivare quel blitz. Mi piace pensare che tutto si può trasformare».
Fermiamoci un istante su questa operazione che, a mio parere, non è solo il reenactment di un lavoro precedente, dove la pittura esprime in maniera più poetica la protesta civile di Iginio De Luca. Il quadro che ripropone il blitz ca Maronn c’accumpgn ci mette di fronte a qualcosa che c’è (o che c’è stato, ma il tempo è ininfluente: i dadi che hanno toccato terra per un istante) e a qualcosa che non c’è – il resto del blitz, il prima e il dopo di quel momento specifico, che è semplicemente evocato e che noi, pubblico, siamo chiamati ad immaginare. Anche l’auspicio si colloca su questo crinale: si evoca e s’invoca il futuro, qualcosa che dovrebbe avvenire. Lo sguardo, quindi, è a qualcosa che non c’è.
A ben vedere, tutto il lavoro di Iginio De Luca, pur così apparentemente esplicito, dichiarato, così manifesto anche in virtù della sua valenza politica, si compone sempre di una parte espressa, visibile e di una parte che rimane celata, che è solo evocata. Così è nel suo penultimo lavoro, Tevere Expo, dove De Luca ha fotografato gli oggetti che il Tevere lascia riaffiorare, facendoci immaginare un mondo che rimane nascosto, ma che esiste nella profondità melmosa del fiume. Così è stato per i “gommoni” che Silvio ci ha rotto, per la proiezione Lavami sulla cupola di San Pietro, di cui riconosciamo la grafia delle scritte Lavami (che non vediamo) sulle macchine impolverate.
Alcune volte la parte mancante è addirittura la più importante. Quando De Luca afferma che gli “bastava che i dadi toccassero terra”, ci suggerisce che tutta l’azione, l’intero blitz con il quale l’artista si sarebbe appropriato, anche per un solo istante, di un luogo altamente istituzionale e sorvegliatissimo (vero reenactment situazionista!) era la parte più importante del lavoro, che non avremmo mai visto, ma che possiamo immaginare.
Da questo punto di vista, direi che il lavoro di Iginio De Luca sia da sempre molto poetico, in quanto invito all’immaginazione, a completare la sua opera, ad accompagnare il gesto dell’artista.
Facendo diventare anche noi, non solo complici, ma un po’ situazionisti. Almeno con la fantasia.

Adriana Polveroni

 

Ca Maronn c’accumpagn 2013-2023

Personal Exhibition,  gallery Blocco 13, Rome
15 september 15 october
Curated by Adriana Polveroni

For me, it was enough for the dice to touch the ground, even for a few seconds. Then, as in almost all blitzes, the police would come and stop me. What’s more, here we were in Piazza del Quirinale, a few steps from the President of the Republic, and therefore the stop was very predictable”. Two large dice actually landed, they rolled for a few seconds under the gaze that Castor and Pollux turn with indifference towards the fate of Rome (at that moment a bad one, not just for Rome but of all of Italy, due to the political stalemate following the 2013 elections). Immediately afterwards a burly but good-natured carabiniere arrived who — who knows? —was almost enjoying the story of the dice, to rely on fate, on the Madonna, on anything to get out of that pathetic impasse where we had ended up. And Iginio De Luca’s blitz came to an end. Title: Ca Maronn c’accumpagn. Year 2013.
Ten years later, today, in 2023, that blitz comes to life again, but in a different and unusual form: as a large painting executed with meticulous attention to detail, misrepresenting no one. The carabiniere maintains his good-natured air while ordering the artist to cease, to stop expressing that irreverent hope. The artist persists, wearing a curious white apron as two other members of the team remove (actually continue to roll) one of the two dice. In the distance, two other carabinieri observe the scene. We notice that the shutters of the Quirinale are closed, at least those on the first floor, and that the sky of Rome does not shine amazingly as it sometimes does, and that the cobblestones (sanpietrini) are perfectly aligned, not one even a little crooked, raised or uprooted.
We learn all this from Iginio De Luca’s painting that is now exhibited at the Blocco 13 gallery in Rome, which arrests the scene at a different time, that long, patient time that belongs to painting.
And here a new chapter opens in the history of the artist, best known for his “blitzes”, actions with a Situationist bite, realized in a unity of time, place and action, enlivened by subtle and decisive linguistic shifts. Forza Italia, in a demonstration by its supporters, paradoxically becomes Farsa Italia, complete with flags mixed up in the procession, or, more gently, the plaque announcing Villa Sciarra, turns into Villa Sciatta, reminder and metaphor of many other famous, degraded Roman places, and so on: ordinary images used in a subversive political critique.
As he says himself, Iginio De Luca has always painted, albeit with “an excessive modesty towards painting”, returning over and over to the same composition, as befits a work in progress, treating it coolly, without inflamed gesture, and rarely exhibiting it.
“It took me ten years to complete this painting, I like that it is a bridge between the blitz of 2013 and today’s static, contemplative, almost academic work. I was born figurative, my nature is pictorial. I have a very intense desire for painting, because painting has an enormous depth, while a photo is flat. Even in my blitzes there is a very strong figuration, an attention to colours. But I have never shown this side of my work. So, in a certain sense this painting becomes a blitz with myself”, says De Luca.
For an artist who has expressed political positions with rapid and aggressive actions, returning to a work from the past while using the traditional language of painting means re-assessing his own work, challenging it with a new technique. In a certain sense, it also means seeing himself again, confronting who he was with who he is today, challenging himself—perhaps ignoring the consequences, but not renouncing the most distinctive aspects of his work.
“Political criticism is always dramatically current. In my case painting does not denote an aesthetic choice, but becomes political because the reasons for the blitz of the time remain current. Painting is contaminated, it asserts that politics is powerless to manage people’s real problems, and I underline this reality with this painting. Stopping time, making that handful of seconds last ten years, for me means confirming, in another way, my position of ten years ago,” says De Luca, who adds: “I chose that blitz precisely because it had no relationship with painting. Presenting only today this work, for the public to contemplate, also means reactivating that blitz. I like to think that everything can be transformed”.
For a moment let’s pause this operation, which in my opinion is not simply the translation of a civil protest into the more poetic genre of painting. The painting that revisits the blitz ca Maronn c’accumpagn presents us with something that is (or—time being irrelevant—that was, that has actually happened, as the dice have touched the ground for an instant) along with something that is not (the rest of the blitz). Of that specific moment there is a before and an after: a consequence that is evoked, that we viewers are called upon to imagine. Even the work’s implicit hope is placed on this divide, as the future is evoked and invoked; it is something that still must happen. Our gaze, therefore, is directed at something that is not there.
On closer inspection, all of Iginio De Luca’s work, even that with apparently explicit political content, is made up of an expressed, visible part and another part that remains concealed or barely suggested. This also characterizes his penultimate work, Tevere Expo, in which De Luca photographed the objects that resurfaced from the Tiber, inviting us to imagine a world that remains hidden, but which exists in the muddy depths of the river. This was the case with the inflatable boats that Berlusconi wrecked for us, for the Lavami (wash me) projected on the dome of St. Peter’s, which recalls the familiar phrase written on dusty cars.
Sometimes the missing part is even the most important. When De Luca states that, “it was enough for the dice to touch the ground”, he is suggesting that the entire blitz and all of its action, with all its institutional and Situational weight—from which he has appropriated a only single instant—is the work’s most important aspect, even if only imagined and never seen.
The work of Iginio De Luca has always been highly poetic, an invitation to the viewer to accompany the artist’s gesture and to complete the work, making us not only accomplices, but also a bit Situationists, at least in our imaginations.

Adriana Polveroni

Tevere expo su carta hanji

 

Tevere Expo su carta Hanji, 2022

stampa digitale inkjet e acquerello su carta Hanji

Il lavoro su carta Hanji fatta a mano, stampata con tecnologia inkjet e integrata successivamente ad acquerello, rappresenta una fusione innovativa tra tradizione artigianale e moderna tecnologia. La carta Hanji, ricavata dalla corteccia di gelso attraverso la stampa inkjet cattura dettagli e sfumature delle immagini del Tevere. L’intervento manuale con l’acquerello, integra le mancanze di colore dovute ai limiti della stampa inkjet.

 

Tevere Expo on Hanji Paper, 2022

Digital inkjet print and watercolor on Hanji paper

The work on handmade Hanji paper, printed with inkjet technology, and subsequently integrated with watercolor, represents an innovative fusion of craftsmanship and modern technology. Hanji paper, derived from mulberry bark, captures details and nuances of Tiber River images through the inkjet printing process. The manual intervention with watercolor supplements color deficiencies due to the limitations of inkjet printing.

Via Giacinto Carini 71- 00152 Roma

 

“Via Giacinto Carini, 71, 00152-Roma”, 2004-2022

acrilico fluorescente su 11 stampe analogiche b/n, cm. 150 x 420.

Il lavoro è un assemblaggio di 11 immagini montate secondo la contiguità degli spazi nella casa della mia infanzia. Sono stampe analogiche in bianco e nero su carta fotografica, velate con un acrilico fluorescente da 30 stratificazioni pittoriche. Questo arancione accecante simboleggia uno spazio consueto improvvisamente mutato, surreale, in apnea, saturo di una realtà congelata. Una condizione spettrale di un contesto  familiare e domestico reso irriconoscibile da un colore e da un suono assordante che trasfigura gli ambienti.  L’assenza delle persone segna uno spartiacque cruciale nella percezione delle immagini.

 

Via Giacinto Carini, 71, 00152-Rome”, 2004-2022

Fluorescent acrylic on 11 black-and-white analog prints, 150 cm x 420 cm.

The artwork is an assembly of 11 images arranged according to the adjacency of spaces in my childhood home. These are black-and-white analog prints on photographic paper, veiled with fluorescent acrylic through 30 layers of paint. This blinding orange symbolizes a familiar space suddenly transformed, surreal, in suspension, saturated with a frozen reality. It represents a spectral condition of a familial and domestic setting rendered unrecognizable by a color and a deafening sound that transfigures the environments. The absence of people marks a crucial divide in the perception of the images.

Tanto domani piove

 

In the ’70s, on August 21st in Campodimele, it was a ritual to buy the “Desiree” by Algida, the ice cream cake with hazelnut sprinkles and a slice of pineapple in the center. Under the disheartening late summer rain, my family and I sought refuge from some relatives to share and celebrate my birthday. The absence of aunts and cousins, despite persistent searches, and the cake melting inside the Latina-registered Fiat 500, marked my childhood memory with meteorological mortification. To sadistically confirm this small trauma, my older brother intervened, favoring the annual debacle the night before by singing a mocking and ominous tune: “tomorrow it will rain so much, tomorrow it will rain so much.” Today, after about 50 years, I extracted sounds by shaking the historic metal sign that bears the imprint, among various ice creams, of the Desiree, the cake of the trauma. The produced audio unexpectedly evoked the genesis of a storm, with pouring rain, acidic lightning, and sudden winds, acoustic metaphors of childhood, social, and political upheavals that vibrated in those years. Like in a shamanic ritual, a biographical circle closes, the wounded anniversary becomes a sonic pretext that exorcises discomfort and redeems past sorrow.

Tanti auguri e saluti

 

manifesti prima settimana

 

manifesti seconda settimana

 

manifesti terza settimana

 

manifesti quarta settimana

 

Tanti auguri e saluti, 2023

Mostra personale, Marina Bastianello gallery, Mestre (VE)
11 febbraio 12 marzo 2023
A cura di Pietro Gaglianò

 

Il viaggio di Iginio sul bordo delle cose

Tutto comincia con un messaggio inviato nello spazio. Era il 1977 e un incauto ottimismo alimentava ancora la convinzione che altre forme di vita intelligenti sarebbero volentieri entrate in contatto con il pianeta terra. Con questo slancio, e con l’incrollabile fiducia statunitense nella propria vocazione a rappresentare l’umanità intera, la NASA spedì nel sistema solare le due sonde Voyager; su ognuna di esse venne caricato il Voyager Golden Record su cui sono registrate immagini, musiche e una raccolta di saluti beneauguranti in diverse lingue, ognuno con una sfumatura caratteristica. La versione italiana dice proprio così, Tanti auguri e saluti, come direbbe la zia chiudendo l’annuale telefonata natalizia, come scrivevano una volta sulle cartoline i parenti lontani, come nessun extraterrestre, nemmeno il più inverosimile, si immaginerebbe mai di poter capire. Le due sonde, si sa, sono ancora in viaggio, con infinitesimali probabilità di raggiungere davvero qualcosa o qualcuno prima di qualche decina di migliaia di anni. Comincia da qui il progetto di Iginio De Luca, dal paradosso implicito in questi saluti che se un giorno si spingeranno fino a un’intelligenza aliena sicuramente la faranno sorridere per la nostra paesana cordialità, per la bonaria irrilevanza dell’augurio.
L’emissione di un messaggio con tali presupposti, senza nessuna certezza sui destinatari, lanciato attraverso un tempo, letteralmente sovrumano, di migliaia e migliaia di anni, è un atto di fede. Ma ogni fede nell’invisibile e nell’indimostrabile, anche la più oltranzista, si alimenta anche del dubbio. Questa professione di visionarietà si affresca quindi sotto la volta arcana di un universo sospeso dove abitano molti elementi ricorrenti nel lavoro di De Luca, come lui stesso scrive: “l’intervallo, il congelamento, l’apnea, la precarietà, un moto ascensionale dell’emersione, l’epifania di qualcosa che è nascosto, che appare e si rivela”. Quasi tutta la sua ricerca, del resto, si svolge (e talora si riavvolge) nell’attenzione alle condizioni di soglia, là dove prendono forma confini mobili, i momenti in cui avvengono i passaggi di stato, in cui la percezione di chi osserva trasforma le persone, i luoghi e le cose in qualcos’altro.
Le sue opere si manifestano così, talora accadendo in maniera repentina, quasi accidentale, irripetibile, nella forzatura di una linea tra interno ed esterno, visibile e invisibile, pubblico e privato, comico e tragico, tra personale e politico. La soglia, in tal modo, è intesa come luogo spiazzante di incertezza ma anche di possibilità inaudite, e con questo spirito viene visitata e poi sovrascritta, contravvenendo alle regole, mettendo in crisi le convenzioni.

Dispositivi democratici

A tutto questo deve essere preparato chi si imbatte nelle opere di De Luca, a questo e all’esercizio di una tenace ironia come possibile resistenza agli abusi di potere. Una riflessione si annoda lungo tutti i suoi lavori e contrappone sempre l’azione positiva (la dichiarazione di un sé individuale o collettivo, la produzione di pensiero critico) alla passività, alla condizione in cui si subisce il controllo occulto, la propaganda, la compressione delle sfere di libertà. Su questa ulteriore linea di soglia l’artista costruisce le sue macchinerie, radunando oggetti, parole, suoni (come se fosse per un altro disco da caricare su Voyager) e offrendoli all’esperienza del visitatore.
I dispositivi per la visione e per l’ascolto delle sue opere sono consapevolmente intesi foucaultianamente come strumenti per l’azione del potere, ma a ruoli ribaltati, o reinventati. Da qui la predilezione per l’affissione di manifesti nello spazio pubblico, praticata in più occasioni e portata sul margine di un’altra contraddizione quando, all’interno della galleria Marina Bastianello, costruisce una cospicua struttura in tubi innocenti che regge due pannelli di formato 3 metri per 2, tra i più grandi fra quelli che incontriamo per strada (per strada, appunto, e non all’interno di una galleria). Sui due lati di questa struttura ogni giorno vengono affissi altrettanti manifesti: si tratta di immagini tratte dai Blitz che De Luca ha compiuto nello spazio pubblico o da altre serie, altre opere, sempre connesse alla sfera dei rapporti tra individuo e sistemi di potere.
Il secondo dispositivo mette in campo la comunicazione audio e qui si concretizza in una struttura, ancora in tubi innocenti, dove due casse trasmettono in loop una sequenza di opere sonore, tutte realizzate dall’artista sonorizzando materiali e luoghi o rielaborando gli inni nazionali, suprema espressione di un’identificazione collettiva astratta e abusata.
Un terzo elemento pone in relazione i due dispositivi: un megafono installato sulla parete e attrezzato di un motorino che lo fa ruotare di 180 gradi, come una videocamera di sorveglianza che monitora lo spazio e chi lo attraversa. La tromba del megafono, infatti, è chiusa da uno specchio (ma potrebbe essere una lente) e trasforma così l’oggetto in qualcosa di sinistramente ambiguo che include il visitatore in una maglia di ruoli, tra la protesta e il controllo. Non è un caso che il megafono sia ricorrente nelle opere di De Luca, con alterazioni della sua riconoscibile morfologia, con l’aggiunta di frasi e con l’uso tradizionale, quello a noi più familiare, di strumento per l’amplificazione della voce durante azioni di protesta. Ma la forma del megafono, così simile agli altoparlanti usati anche nei campi di concentramento, ci ricorda la versatilità di ogni strumento e l’impossibilità di considerarlo neutrale.
Così sono i dispositivi: appartengono agli apparati del potere (e in questa tradizione di comunicazione egemonica sono stati elaborati), con effetti tragici nelle sue declinazioni totalitarie, ma sono poi stati assorbiti nelle relazioni della vita democratica e, molte volte, utilizzati come supporti per la lotta per i diritti, per la protesta, anche radicale. La successione dei manifesti (incollati uno sull’altro in una stratificazione identica a quella delle pubblicità e delle comunicazioni elettorali) e la sequenza delle tracce sonore nella mostra veneziana suggeriscono quanto questa consapevolezza sia profondamente, sensibilmente presente nel lavoro di De Luca. I manifesti affissi riferiscono parti incomplete di una storia, porgono indizi, offrono punti di vista non del tutto espliciti (al contrario di quanto fa la dinamica della comunicazione di massa) e mai convenzionali che, raccolti insieme compongono una critica del mito della democrazia come uguaglianza e giustizia. E di questo parlano anche gli interventi sulle tracce audio degli inni nazionali e l’occhiuto megafono, risvegliando il pensiero che il funzionamento dei sistemi di governo nel mondo europeo include la possibile deviazione verso l’autoritarismo e la corrente, patente, condizione di esclusione di alcune categorie sociali.

Ironico e quasi demiurgico

Iginio De Luca traduce tutto questo in installazioni, performance, video e altri formati e (quasi) dappertutto corre un rumore di sottofondo: è la risata sommessa dell’artista che osserva il mondo con un disincanto e una franca, amara rassegnazione a cui si possono opporre solo l’ironia, che senza minimizzare le persone e le vicende le pone in una dimensione attingibile, e l’esperienza dell’arte, che suggerisce il senso del possibile e, quindi, l’alternativa al grigiore di questi costrutti oppressivi, e l’ispirazione per resistere.
È la posizione che la figura dell’artista, inteso come soggettività nella grammatica contemporanea della produzione culturale, copre da quando ha assunto autonomia rispetto ai poteri politici e spirituali. È la posizione che a fatica alcuni artisti oggi riescono ancora a mantenere rispetto a nuovi poteri amministrativi e finanziari, legati alle oligarchie del sistema dell’arte. Fino a quando questa posizione rimane salda, o almeno difendibile, anche a costo di rinunce e esclusioni, o comunque riconoscibile, l’arte può ancora essere lo squarcio nel velo di Maya.
L’artista quindi non crea mondi ma li svela. E Iginio, da questa posizione, lo fa con la leggerezza alata di un sorriso (talvolta amaro, come ricorda anche il titolo di una sua mostra di qualche anno fa) e con l’impegno fisico, corporeo del lavoro. Un altro tratto costante della sua ricerca è infatti la forte sensorialità di cui investe gli oggetti e la materia: è un’azione che si concretizza in installazioni e, inaspettatamente, anche nella capacità pittorica. Soprattutto però il contatto con la superficie delle cose ha il respiro di una creazione musicale. De Luca, da navigato percussionista, ha suonato, tra le altre cose, un letto, alcuni reperti romani, un intero paese e il paesaggio. E ha fatto suonare le persone, le comunità, i ragazzi di una scuola, immergendo il passaggio della quotidianità nella connessione speciale con sé e con il mondo che solo l’arte consente.

Mi raccomando i saluti

La visione complessiva della mostra, con la stratificazione dei flussi visivi e sonori, richiede quindi un lungo tempo di ascolto e il ritorno quotidiano in galleria. A chiosa e conclusione di questo azzardo, in uno spazio appartato e buio, nel retro, lampeggia al ritmo del codice morse un lightbox con l’immagine di un chiosco di fiori e piante. È uno dei tanti che illuminano incessantemente la notte di Roma, ai quali De Luca ha dedicato una serie di fotografie e un video, attratto dalla sospensione in cui paiono levitare in bolle di luce. La capitale è costellata di queste cellule tropicali aperte 24 ore al giorno, in modo misterioso, enigmatico, quasi come sonde spaziali immerse nel buio cosmico e lanciate come un messaggio di resistenza, di pura sopravvivenza, o solo come un laconico saluto ai passanti. Il messaggio battuto dal lampeggiare morse, naturalmente, è Tanti auguri e saluti.

Pietro Gaglianò

 

Tanti auguri e saluti, 2023

Personal exhibition, Marina Bastianello gallery, Mestre (VE)
February 11 to March 12, 2023
Curated by Pietro Gaglianò

 

 Iginio’s journey on the edge of things

It all begins with a message sent into space. It was 1977, and a naive optimism still fueled the belief that other intelligent life forms would willingly make contact with planet Earth. With this enthusiasm and the unshakable U.S. confidence in its vocation to represent all of humanity, NASA sent the two Voyager probes into the solar system. On each of them, the Voyager Golden Record was loaded with recorded images, music, and a collection of well-wishing greetings in various languages, each with its own characteristic nuance. The Italian version says just that, “Tanti auguri e saluti,” as if one’s aunt were ending the annual Christmas phone call, as they once wrote on postcards to distant relatives, as no extraterrestrial, not even the most unimaginable, would ever expect to understand. The two probes are still on their journey, with infinitesimal chances of actually reaching anything or anyone before tens of thousands of years. This is where Iginio De Luca’s project begins, with the implicit paradox in these greetings that, if one day they reach an alien intelligence, will surely make it smile at our friendly provinciality, at the benevolent irrelevance of the greeting. The transmission of a message with such assumptions, with no certainty about the recipients, launched through a literally superhuman span of time, is an act of faith. But every faith in the invisible and the unprovable, even the most extreme, is also nourished by doubt. This profession of visionary thinking is thus painted under the arcane vault of a suspended universe where many elements recurring in De Luca’s work reside, as he writes himself: “the interval, the freeze, the apnea, precariousness, an ascensional motion of emergence, the epiphany of something hidden that appears and reveals itself.” Almost all of his research, after all, unfolds (and sometimes rewinds) in attention to threshold conditions, where movable boundaries take shape, moments when state transitions occur, where the perception of the observer transforms people, places, and things into something else. His works manifest in this way, sometimes happening suddenly, almost accidentally, unrepeatable, in the forcing of a line between inside and outside, visible and invisible, public and private, comedic and tragic, between personal and political. The threshold, in this way, is understood as a disconcerting place of uncertainty but also of unheard-of possibilities, and with this spirit, it is visited and then overwritten, violating the rules, challenging conventions.

Democratic devices

All of this must be prepared for by those who encounter De Luca’s works, along with the exercise of a tenacious irony as possible resistance to abuses of power. A reflection intertwines through all his works, always opposing positive action (the declaration of an individual or collective self, the production of critical thought) to passivity, to the condition in which hidden control, propaganda, and the compression of spheres of freedom are suffered. On this additional threshold line, the artist builds his machineries, gathering objects, words, sounds (as if for another record to be loaded onto Voyager) and offering them to the visitor’s experience. The devices for viewing and listening to his works are consciously intended, Foucaultianly, as instruments for the action of power, but with roles overturned or reinvented. Hence the preference for posting posters in public spaces, practiced on several occasions and brought to the edge of another contradiction when, inside the Marina Bastianello gallery, he constructs a substantial structure with innocent pipes that holds two panels measuring 3 meters by 2, among the largest we encounter on the street (on the street, indeed, not inside a gallery). On both sides of this structure, two posters are posted every day: these are images taken from the blitzes that De Luca carried out in public spaces or from other series, other works, always connected to the sphere of the relationship between the individual and systems of power. The second device puts audio communication into play and materializes in a structure, again made of innocent pipes, where two speakers loop a sequence of sound works, all created by the artist by soundtracking materials and places or reworking national anthems, the supreme expression of an abstract and abused collective identification. A third element relates the two devices: a megaphone installed on the wall and equipped with a small motor that rotates it 180 degrees, like a surveillance camera monitoring space and those who cross it. The megaphone’s horn is closed by a mirror (but it could be a lens) and thus transforms the object into something sinisterly ambiguous that includes the visitor in a network of roles, between protest and control. It is no coincidence that the megaphone is recurrent in De Luca’s works, with alterations to its recognizable morphology, with the addition of phrases, and with its traditional use, the one most familiar to us, as a tool for amplifying the voice during protest actions. But the megaphone’s shape, so similar to the speakers also used in concentration camps, reminds us of the versatility of every tool and the impossibility of considering it neutral. So, the devices belong to the apparatuses of power (and in this tradition of hegemonic communication, they have been developed), with tragic effects in its totalitarian declinations, but they have then been absorbed into the relationships of democratic life and, many times, used as supports for the struggle for rights, for protest, even radical. The succession of posters (glued one on top of the other in a stratification identical to that of advertisements and electoral communications) and the sequence of soundtracks in the Venetian exhibition suggest how deeply and sensibly this awareness is present in De Luca’s work. The posted posters report incomplete parts of a story, offer clues, provide not entirely explicit points of view (unlike the dynamics of mass communication) and never conventional ones that, when gathered together, compose a critique of the myth of democracy as equality and justice. And this is also what the interventions on the audio tracks of national anthems and the watchful megaphone talk about, reawakening the thought that the functioning of government systems in the European world includes the possible deviation towards authoritarianism and the clear, evident condition of exclusion of some social categories.

Ironic and almost demiurgic

Iginio De Luca translates all this into installations, performances, videos, and other formats, and (almost) everywhere there is a background noise: it is the subdued laughter of the artist who observes the world with a disillusionment and a frank, bitter resignation that can only be opposed by irony, which, without minimizing people and events, places them in an accessible dimension, and the experience of art, which suggests the sense of the possible and, therefore, the alternative to the grayness of these oppressive constructs, and the inspiration to resist. This is the position that the figure of the artist, understood as subjectivity in the contemporary grammar of cultural production, has covered since gaining autonomy from political and spiritual powers. This is the position that some artists today still manage to maintain with difficulty in relation to new administrative and financial powers, linked to the oligarchies of the art system. As long as this position remains firm, or at least defensible, even at the cost of renunciations and exclusions, or in any case recognizable, art can still be the tear in the veil of Maya. The artist, therefore, does not create worlds but reveals them. And Iginio, from this position, does it with the winged lightness of a smile (sometimes bitter, as also remembered by the title of one of his exhibitions a few years ago) and with the physical, bodily commitment of work. Another constant trait of his research is indeed the strong sensoriality with which he invests objects and matter: it is an action that materializes in installations and, unexpectedly, also in the pictorial capacity. Above all, though, the contact with the surface of things has the breath of a musical creation. De Luca, as a seasoned percussionist, has played, among other things, a bed, some Roman artifacts, an entire village, and the landscape. And he has made people, communities, school children sound, immersing the passage of everyday life in the special connection with oneself and with the world that only art allows.

Remember greetings

The overall view of the exhibition, with the layering of visual and sound flows, therefore requires a long time of listening and daily return to the gallery. As a concluding touch to this venture, in a secluded and dark space in the back, a lightbox with the image of a flower and plant kiosk flashes at the rhythm of Morse code. It is one of the many that incessantly illuminate the night in Rome, to which De Luca dedicated a series of photographs and a video, attracted by the suspension in which they seem to levitate in bubbles of light. The capital is dotted with these tropical cells open 24 hours a day, in a mysterious, enigmatic way, almost like space probes immersed in cosmic darkness and launched as a message of resistance, of pure survival, or just as a laconic greeting to passersby. The message conveyed by the flashing Morse, of course, is “Tanti auguri e saluti.”

Pietro Gaglianò

Se queste mura potessero parlare

 

Se queste mura potessero parlare, 2021

Installazione luminosa con codice morse
Progetto site-specific per Apulia Land Art Festival 2021
Casa Rossa – Alberobello
a cura di Giuseppe Capparelli
SPÜREN / DER TRAUM / AZZURRA / FELICITÀ / SETTANTA VOLTE SETTE PIÙ UNA / CULLA ALLE ORTICHE / E ALABASTRO / CENTOCINQUANTA SIGNORINE / E UNA SOLA PORTA / PER DIVIDERE IL NULLA

L’intervento artistico che Iginio De Luca ha pensato e prodotto per Casa Rossa ad Alberobello è il risultato delle ricerche e delle indagini che l’artista ha compiuto durante i giorni di residenza artistica per Apulia Land Art 2021.
De Luca è partito dalla volontà di “donare voce e luce alla Casa, affidare a lei, come soggetto pensante e sensibile, la possibilità di parlare e comunicare all’esterno” modificando di fatto la percezione visiva ed emotiva che si ha dell’edificio, ormai storicizzato.
Il processo analitico messo in atto ha permesso di contestualizzare i segni e le parole che sono emersi dal confronto diretto con la comunità alberobellese. Le persone coinvolte hanno condiviso con l’artista i propri pensieri più intimi dedicati alla Casa; le singole esperienze vissute durante gli anni di attività della stessa; le proprie confidenze e i sentimenti più nascosti, anche di contrasto, dalla quale è emerso un profilo identitario unico, profondo e fortemente emozionale. Il risultato di questa azione ha reso possibile, quindi, un ribaltamento semantico, un transfert, nel quale la casa prende vita, attraverso vibrazioni luminose, come un cuore pulsante che brilla nel buio.
Questa antropizzazione ha permesso l’edificazione simbolica di un’architettura parlante, nella quale l’artista ha filtrato la carica emozionale dei soggetti coinvolti nella sua personale ricerca, fondendo così linguaggio gestuale e testo architettonico in un unico messaggio visivo da contemplare in maniera intima e silenziosa. Questa installazione radica la sua genesi nell’infanzia di De Luca, quando già da bambino sperimentava l’uso delle luci come codice di trasmissione di messaggi, un chiaro rimando a Libero de Libero. Il contatto con la Casa gli ha permesso di concretizzare questa sua antica riflessione e di creare una continuità narrativa fra la sua interiorità e la sfera intima dei partecipanti.
L’artista, attraverso l’uso totemico e catartico del pensiero tradotto in parola, ha creato un collage verbale o poetico-visivo in totale aderenza con le ricerche portate avanti già in ambito neoavanguardistico dalle correnti artistico-letterarie del Gruppo 63 e del Gruppo 70, cioè di quella “Cultura del neo ideogramma” che Lamberto Pignotti ha stigmatizzato nella formulazione dell’ipotesi “di una ‘poesia tecnologica’, capace cioè di avvalersi dei temi, delle tecniche e dei linguaggi della comunicazione di massa per farsi interprete dei profondi cambiamenti intervenuti all’interno della società”. Questi gruppi, a loro volta, riprendevano e sviluppavano le loro ricerche sulle teorie fondanti dei movimenti Dada e Surrealista. La cultura nonsense Dada sulla casualità illogica, sperimentata negli anni Venti a Zurigo da Tristan Tzara, o l’invenzione, in ambito surrealista, dei Poèmes-objet di André Breton hanno permesso lo sviluppo, negli anni a venire, di ricerche verbo visive aventi come oggetto una posizione di forte contestazione critica del sistema culturale, agevolando quell’intreccio fra Arte e Cultura che è anche la cifra stilistica di Iginio De Luca. L’uso di una semantica realistica, che fonda le sue basi sull’uso della parola, intesa come codice linguistico della collettività, si qualifica come riflesso indiscusso dell’identità sociale in un rapporto reciproco di equilibrio tra segno verbale e segno visivo. La ricerca di De Luca si inserisce pienamente fra le pieghe della Poesia Visiva, che ha visto protagonisti artisti di prim’ordine come Ketty La Rocca e Mirella Bentivoglio, nei cui lavori l’intento principale era di irrompere nella materia prima del linguaggio, scomponendolo e ricomponendolo a livello visivo e sonoro, con un ribaltamento di senso che rimetteva in discussione le convenzioni stesse del codice linguistico.
Esaltando il suono e il fonema non solo con l’uso della voce, ma anche con strumentazioni tecnologiche, la parola pronunciata viene utilizzata come formula magica che investe l’oggettualità dell’opera di valore estetico.
Questo tentativo di connotare in senso estetico la vita sociale corrisponde all’esigenza stringente di adeguamento e condivisione di valori puri alle istanze culturali e collettive.

 

La Frase tradotta in codice morse

SPÜREN in tedesco vuol dire percepire, sentire con tutti i sensi, i colori, gli odori i suoni; è
l’equivalente di feeling in inglese.
DER TRAUM in tedesco vuol dire il sogno.
AZZURRA è il nome della televisione che aveva la sede all’interno della Casa Rossa.
FELICITÀ è il titolo del Valzer rondò che scrisse Charles Abeles nel 1941 dedicato al suo padrino Francesco Nardone.
SETTANTA VOLTE SETTE PIÙ UNA è la frase che mi ha raccontato un ex educatore della Casa Rossa riguardo lo spirito cristiano del perdono da adottare anche con i ragazzi ospitati nella Casa. Il “più uno” lo incise un ragazzo su un banco volendo segnalare che anche lui doveva essere perdonato una volta in più, avendo avuto una mamma prostituta e un padre in galera.
CULLA ALLE ORTICHE frase detta da un alberobellese che da ragazzo andava nelle colonie estive, ospite della Casa Rossa. Per lui adesso la Casa è una culla buttata alle ortiche.
ALABASTRO vicino alla Casa ci sono cave di alabastro che servivano per realizzare oggetti e
sculture sacre per il Vaticano.
CENTOCINQUANTA SIGNORINE erano tutte le donne ospitate nella Casa, prostitute, indossatrici, attrici, collaborazioniste.
UNA SOLA PORTA è l’architettura del trullo, un solo accesso dove si entra e si esce.
DIVIDERE IL NULLA indica la metafora verbale per esprimere la massima povertà della gente di Alberobello nella storia, povertà che era anche all’interno della Casa Rossa.

Grazie a tutte le persone incontrate che mi hanno donato emozioni e parole:
Mauro Corbascio; Salvatore Cuntuzzi; Maria Giovanna De Leonardis; Gianfelice De Molfetta;
Romeo Di Bari; Antonietta D’Oria; Palmina Gentile; Sante Gigante; Giovanni Lacirignola; Agostina Lisi; Michele Longo; Lorenzo Maiale; Vito Piepoli; Alessandra Turi.

 

Se queste mura potessero parlare, 2021

Light installation with Morse code
Site-specific project for the Apulia Land Art Festival 2021
Casa Rossa – Alberobello
Curated by Giuseppe Capparelli

Iginio De Luca has developed an artistic intervention for Casa Rossa in Alberobello, influenced by his artistic residency for Apulia Land Art 2021. The artist aimed to give voice and light to the house, allowing it to communicate with the outside world and altering the perception of the historicized building. The conducted research and investigations led to contextualizing the signs and words that emerged from direct interaction with the local community, creating a unique and emotionally charged identity profile. The result is a semantic reversal in which the house comes to life with luminous vibrations, becoming a pulsating heart in the dark. This anthropomorphism allowed the creation of a speaking architecture that blends gestural language and architectural text into a visually contemplative message. The installation traces its origins to De Luca’s childhood, where he experimented with using lights as a code for message transmission. The artist employs a totemic and cathartic thought, creating a poetic-visual collage in harmony with the neo-avant-garde currents of Gruppo 63 and Gruppo 70. De Luca’s research aligns with Visual Poetry, with a specific focus on the relationship between verbal and visual signs, following the traditions of surrealism and Dada. His aesthetic exploration of social life responds to the urgent need for adaptation and sharing of pure values with cultural and collective demands.

The translated text into Morse code:

SPÜREN (perceive, feel with all senses, colors, smells, sounds) in German.
DER TRAUM (the dream) in German.
AZZURRA is the name of the television that had its headquarters inside Casa Rossa.
FELICITÀ (happiness) is the title of the waltz rondo written by Charles Abeles in 1941 dedicated to his godfather Francesco Nardone.
SEVENTY TIMES SEVEN PLUS ONE is the phrase told to me by a former educator of Casa Rossa regarding the Christian spirit of forgiveness to be adopted even with the boys hosted in the house. The “plus one” was engraved by a boy on a desk, wanting to indicate that he too should be forgiven one more time, having had a prostitute mother and a father in prison.
CRADLE TO THE NETTLES, a phrase said by an Alberobello resident who as a boy used to go to summer camps, a guest of Casa Rossa. For him, now the house is a cradle thrown to the nettles.
ALABASTER, near Casa Rossa there are alabaster quarries that were used to make sculptures and sacred objects for the Vatican.
ONE HUNDRED FIFTY YOUNG LADIES were all the women hosted in Casa Rossa, prostitutes, models, actresses, collaborators.
A SINGLE DOOR is the architecture of the trullo, a single entrance where you enter and exit.
DIVIDE NOTHING indicates the verbal metaphor to express the utmost poverty of the people of Alberobello in history, poverty that was also inside Casa Rossa.

Thanks to all the people I met who gave me emotions and words: Mauro Corbascio; Salvatore Cuntuzzi; Maria Giovanna De Leonardis; Gianfelice De Molfetta; Romeo Di Bari; Antonietta D’Oria; Palmina Gentile; Sante Gigante; Giovanni Lacirignola; Agostina Lisi; Michele Longo; Lorenzo Maiale; Vito Piepoli; Alessandra Turi.

Le voci di dentro

 

Le voci di dentro, 2020

Performance sonora e residenza
Progetto per Atelier d’artista, Live Museum Live Change, Mercati di Traiano, Roma
A cura di Francesca Guida

Predisporsi all’ascolto, sintonizzarsi sulla memoria di un luogo e attualizzare un incontro.
Il senso poetico e concettuale del mio progetto è in queste azioni che contemplano un rapporto intimo con lo spazio, un contatto alternativo che si sottrae alla vista per generare linguaggi evocativi che negano l’apparenza.
Custode di reperti archeologici, la nicchia sottostante il Mercato è diventato il mio studio di registrazione. Lo sfregamento epidermico e caldo delle mani con le superfici aspre, levigate e corrose di questi frammenti, è stato il pretesto tattile per creare un archivio sonoro che ha identificato acusticamente ogni blocco di marmo, catalogando in modo immateriale queste presenze storiche. Un vocabolario illogico di voci sommesse, un bisbigliare incomprensibile di frasi, un dialogo surreale tra pietre parlanti che rivendicano la loro anima e ne reclamano ancora la vita.
Microfoni altamente sensibili, cuffie, amplificatori, casse audio e mixer sono stati gli strumenti tecnici che hanno accolto in modo capillare e fedele tutte le sfumature acustiche prodotte dalla performance. I suoni generati, montati e organizzati come un flusso naturale di eventi, abitano lo stesso spazio servito a crearli in un’installazione suggestiva e coinvolgente.

The voice within, 2020

Sound performance and residence
Project for the Atelier d’artista, Live Museum Live Change, Mercati di Traiano, Rome
Curated by Francesca Guida

To be ready to listen, to tune in the memory of a place and actualise a meeting.
The conceptual and poetical meaning of my project can be found in these actions that contemplate an intimate relationship with the space, an alternative way of being in contact that is taken away out of sight to generate evocative languages, negating the appearance.
Guardians of archaeological artefacts, the niche underneath the Market has become my recording studio. The rubbing of the hot hand’ skin against the harsh, levigate and eroded surface has originated my interest in creating a sound archive that has identified through sound every block of marble, archiving them under immaterial criteria this historical presence. An illogic vocabolary of subdued voice, an imcomprehensible wispering of sentens, a surreal conversation between talking rocks that claim their soul and life.
Highly sensitive microphones, headphones, amplifiers, speakers and mixers were the pieces of equipment that recorded in a detailed and devoted way all the nuances of sounds produced by the performance. The sounds generated, edited and organised like a natural flow of events live in the same space that I have used to create them in an engaging and evocative installation.

Inbandita

 

Inbandita (per Laura), 2023

Azione sonora, durata: 180’
Seminaria, VII festival d’arte ambientale, 25-26-27 agosto 2023, Maranola (Formia LT)
A cura di Marianna Fazzi e Mattia Fernando Biagetti

L’azione ripetuta per le tre sere del festival consiste nell’estrarre con le mani e pochi utensili domestici i suoni da uno dei tavoli che nel 2016 servì alla performance relazionale “Valore energetico” di Laura Cionci; un tavolo antico, vissuto, con tante sedimentazioni acustiche al suo interno. Il mio desiderio è di risvegliare queste memorie sonore e dare voce a un oggetto che sciamanicamente conserva la vita gastronomica, sociale e affettiva delle persone che negli anni hanno interagito con lui, fino ad arrivare a Laura e al suo lavoro partecipativo. Il tavolo sarà “Inbandito”, con la “n” che richiama la banda musicale, apparecchiato con piatti, posate e bicchieri, in modo che le vibrazioni prodotte e il contatto degli elementi producano una risonanza acustica inquietante, un effetto corale suggestivo e misterioso.

 

Inbandita (for Laura), 2023

Sound action, duration: 180′
Seminaria, VII Environmental Art Festival, August 25-26-27, 2023, Maranola (Formia LT)
Curated by Marianna Fazzi and Mattia Fernando Biagetti

The action, repeated for the three evenings of the festival, involves extracting with hands and a few household tools the sounds from one of the tables used in 2016 for Laura Cionci’s relational performance “Valore energetico.” This table, antique and lived-in, holds numerous acoustic sedimentations within. My desire is to awaken these sonic memories and give voice to an object that shamanically preserves the gastronomic, social, and emotional life of the people who have interacted with it over the years, culminating with Laura and her participatory work. The table will be “Inbandito,” with the “n” reminiscent of a musical band, set with plates, cutlery, and glasses, so that the vibrations produced and the contact of the elements create an eerie acoustic resonance, an evocative and mysterious choral effect.

Zi Nicola

 

Zì Nicola, 2022

Azione sonora
Notte del 10 settembre 2022 Gecko Fest, Spina (PG)
A cura di Sauro Cardinali

Un letto matrimoniale nel borgo di Spina, fuori in piazza, tra il cotto del lastricato, i fiori alle finestre e i portoni medievali in legno; un oggetto domestico privato che arreda lo spazio pubblico, ostruisce la via, inceppa il passaggio collettivo. Un letto “apparecchiato” con lenzuola, cuscini gonfi, federe vergini e una sovraccoperta; l’oggetto escluso dalla veglia che s’impone per una dimensione orizzontale, una condizione complementare di vita quasi sempre inconscia, oltre la logica e le parole, legata ad azioni involontarie e pulsionali: il respiro, l’amore, il sonno, il sogno, la morte, il riposo, la malattia. Questo letto, abbastanza alto da potermi ospitare sotto ,sarà la mia casa, il luogo deputato, il mio rifugio per l’intera notte. Come un bambino che ha paura e si protegge, che gioca, fa gli scherzi ai passanti e si nasconde, mi sottraggo all’ingombro spaziale e baratto un’assenza fisica in cambio di un linguaggio emotivo e primordiale che non spiega e non descrive. Il contatto fisico e viscerale con il letto produrrà suoni e ritmi che andranno a gremire acusticamente il borgo antico, presenze impalpabili, vibrazioni nell’aria inquietanti e ancestrali, suoni dell’inconscio, del sonno e del sogno. Sarò “Zi Nicola”, il personaggio misterioso della commedia di Eduardo che, nelle “Voci di dentro”, segnala la sua presenza esclusivamente acustica con lo scoppio ritmato di mortaretti, un alfabeto morse che sincopava in scena un dialetto in codice di matrice popolare e spirituale.

 

Zi Nicola, 2022

Sound Action
Night of September 10, 2022, Gecko Fest, Spina (PG)
Curated by Sauro Cardinali

A double bed in the village of Spina, outdoors in the square, amidst the terracotta pavement, flowers at the windows, and medieval wooden doors; a private domestic object that furnishes the public space, obstructs the street, hinders collective passage. A bed “set” with sheets, fluffy pillows, virgin pillowcases, and a bedspread; the object excluded from wakefulness that imposes itself for a horizontal dimension, a complementary condition of life, almost always unconscious, beyond logic and words, linked to involuntary and instinctual actions: breathing, love, sleep, dreams, death, rest, illness. This bed, tall enough to accommodate me underneath, will be my home, the designated place, my refuge for the entire night. Like a child who is afraid and protects himself, who plays, jokes with passersby, and hides, I withdraw from spatial encumbrance and exchange physical absence for an emotional and primordial language that neither explains nor describes. The physical and visceral contact with the bed will produce sounds and rhythms that will acoustically fill the ancient village, intangible presences, unsettling and ancestral vibrations in the air, sounds of the unconscious, sleep, and dreams. I will be “Uncle Nicola,” the mysterious character in Eduardo’s comedy who, in “Voices from Inside,” signals his exclusively acoustic presence with the rhythmic burst of firecrackers, a Morse code alphabet that syncopated on stage a dialect in a code of popular and spiritual origin.

Gioia mia

scarica il pdf Gioia mia

 

Gioia mia, 2023

Azione urbana itinerante con Camion Vela. Roma, 21 agosto 2023
Evento del progetto “Roma città aperta”, vincitore dell’Avviso Pubblico Estate Romana 2023-24
a cura di Raffaella Frascarelli e Sabrina Vedovotto
Prompt engineering: Marco Egizi
mediatrici culturali: Luisa Fagiolo, Alice Fincato

“Stare dunque in prossimità della morte, senza mai possederla, è l’esercizio dell’arte”.(F. Rella)

Che cosa vorremmo chiedere a nostra madre se fossimo in grado di comunicare nuovamente con lei per dimensioni ultraterrene, alternative a una forma tradizionale di dialogo? Quali profonde emozioni potrebbero risvegliarci leggere di nuovo la sua calligrafia in risposta alla nostra? Sono le sfide improbabili eppure possibili che mi sono posto in questa nuova azione urbana che si svolge a Roma durante tutta la giornata del 21 agosto, il giorno del mio compleanno. Un’azione emotiva, privata che, per via del mezzo e del linguaggio utilizzati, diventa pubblica, condivisibile da tutti. I due maxi manifesti affissi sul camion vela, trascrivono calligraficamente una conversazione a distanza tra un figlio ancora in vita e una mamma scomparsa più di venti anni fa. L’incontro surreale, intimo e pieno di teneri vezzeggiativi è il frutto ibrido di uno scambio epistolare tra me e ChatGPT, l’intelligenza artificiale che da qualche anno compromette umano e artificiale, miscela emozioni e nozioni in uno spazio-tempo indefinito, inquietante, ancora eticamente da censire. In quest’occasione l’A.I. diventa familiare, complice, assume i connotati caratteriali e reattivi di mia mamma, Giuliana Rossetti, umanizzando un’assenza e assumendosi la folle responsabilità di incarnare memorie e stati emotivi. Una terra ambigua di tutti e di nessuno, uno spazio altro dai confini labili e fluttuanti, un trascendente fittizio, cablato sulle stratificazioni collettive e tecnologiche. Cinque domande semplici, universali, con alcune personali allusioni, per altrettante risposte dense di accoglienza e delicatezza, solitudine e malinconia; toni e modi dalle sembianze materne, uno spirito cristiano dall’indole mite e insieme tenace, nell’ostinata fiducia nel prossimo. La scrittura stampata sui manifesti, dopo un mio ulteriore filtro di contenuti, è il prodotto artigianale di un paziente lavoro di patchwork calligrafico che, lettera dopo lettera, genera nuovamente le parole di mia madre, un’operazione simile a quella dei testi anonimi ricavati con i ritagli dei giornali. In questo caso miliardi d‘informazioni condensate nelle risposte dell’intelligenza, sono convogliate metaforicamente in un imbuto umano, la sintesi estrema di un segno unico e inconfondibile: quello della grafia manuale. Il tragitto del camion è itinerante e relazionale, un percorso a mappatura affettiva, con ripetute soste per i luoghi della memoria che legano me e mia mamma in un tempo sospeso di una Roma deserta e metafisica, intima e toccante.

 

Gioia mia, 2023

Itinerant urban action with Camion Vela Rome, August 21, 2023
Event of the project “roma città aperta,” and awarded from the Roman Summer 2023
curated by Raffaella Frascarelli and Sabrina Vedovotto
Prompt engineering: Marco Egizi
cultural mediators: Luisa Fagiolo, Alice Fincato

“To be therefore in the proximity of death, without ever possessing it, is the exercise of art.”(F. Rella)

What would we want to ask our mother if we were able to communicate with her again by otherworldly dimensions, alternatives to a traditional form of dialogue? What deep emotions might awaken us to read her handwriting again in response to our own? These are the unlikely yet possible challenges I have set for myself in this new urban action that will take place in Rome throughout the day of August 21 on my birthday. An emotional, private action that, because of the medium and language used, becomes public, and shareable by all. The two maxi posters affixed on the sailing truck will transcribe calligraphically a long-distance conversation between a still-living son and a mother who disappeared more than twenty years ago. The intimate encounter full of tender mannerisms is the hybrid fruit of an epistolary exchange between me and ChatGPT, the artificial intelligence that has been compromising human and artificial for the past few years, mixing emotions and notions in an undefined, disturbing, yet ethically to be censored space-time. On this occasion, intelligence takes on the characterful and responsive connotations of my mom, humanizing an absence and taking on the maddening responsibility of embodying memories and emotional states. An ambiguous land of everyone and no one, with labile and fluctuating boundaries, a fictitious transcendent, wired on collective and technological stratifications. Five simple, universal questions, with some personal allusions, for as many answers dense with welcome and delicacy, loneliness, and melancholy; tones and manners with motherly features, a Christian spirit with a mild and at the same time tenacious nature, in stubborn trust in one’s neighbor. The writing printed on the posters is the handcrafted product of a patient work of calligraphic patchwork that, letter by letter, generates again the words of my mother, an operation like that of anonymous texts obtained from newspaper clippings. In this case, billions of pieces of information obtained with intelligence responses are metaphorically channeled into a human funnel, the extreme synthesis of a unique and unmistakable sign, that of handwriting. The truck’s journey will be itinerant and relational, an affective mapping path, with repeated stops for the places of memory that bind my mom and me in a suspended time of a deserted and metaphysical Rome, intimate and touching.

Verso dove

 

Verso dove, 2021

Azione relazionale
Progetto Amplify in collaborazione con ECCOM
a cura di Francesca Guida

Iginio De Luca ha collaborato con ECCOM nell’ambito del progetto Amplify, per coinvolgere gli abitanti del quartiere Tor Bella Monaca di Roma in una conversazione sull’Europa.
L’artista è salito con i partecipanti su una delle 15 torri che caratterizzano visivamente il quartiere, per raccogliere le loro parole, idee e opinioni in una salita verso la sommità che diventa atto simbolico e performativo. Lo sforzo fisico della salita cambia il ritmo delle conversazioni, che con il progressivo avvicinarsi alla cima della torre diventano un crescendo di parole, sbuffi di fatica e respiri profondi, in cui si possono distinguere dei frammenti di discorso che esprimono disillusione nei confronti dell’Europa, percepita come troppo distante dalla complessa realtà quotidiana del quartiere. “Verso dove” combina registrazione sonora e video in un’ascesi fisica e acustica verso un metaforico “dove”, un luogo ricco di possibilità che diventa spunto di riflessione sull’effettivo ruolo delle istituzioni e dell’Europa in contesti socialmente e geograficamente isolati.

Per approfondire visita Verso dove 

 

Verso dove, 2021

Relational action
Amplify Project in collaboration with ECCOM
Curated by Francesca Guida

Iginio De Luca collaborated with ECCOM within the Amplify project to engage the residents of the Tor Bella Monaca neighborhood in Rome in a conversation about Europe. The artist ascended one of the 15 towers that visually characterize the neighborhood along with the participants, collecting their words, ideas, and opinions during the ascent to the summit, which became a symbolic and performative act. The physical effort of the ascent altered the pace of the conversations, evolving into a crescendo of words, gasps of fatigue, and deep breaths as they approached the top of the tower. Within these sounds, fragments of discourse expressing disillusionment towards Europe emerged, perceived as too distant from the complex daily reality of the neighborhood. ‘Towards Where’ combines sound recording and video in a physical and acoustic ascent towards a metaphorical ‘where,’ a place rich with possibilities that becomes a point of reflection on the actual role of institutions and Europe in socially and geographically isolated contexts.

For further details, visit Verso dove.

Tevere Expo

 

 

Catalogo

Tevere Expo, 2021

Installazione urbana, affissione pubblicitaria. Dal 26 aprile al 10 maggio 2021, Roma
Progetto vincitore di Cantica21. Italian Contemporary Art Everywhere.

“Quando guardi a lungo nell’abisso, l’abisso ti guarda dentro.” (Friedrich Nietzsche)

A Roma il Tevere scorre in basso a nostra insaputa e, forse, anche alla sua. Noi sopra in città, nel crocevia del tutto, nel compulsivo oscillare tra l’estasi e l’inferno e lui giù in fondo, impercettibile, assente e pesante, quasi immobile, si lascia trasportare al ritmo cadenzato e melmoso di un tempo sospeso, onirico.
Il progetto “Tevere Expo” vuole rendere visibile l’oscuro, riesumare l’anima inconscia del fiume e, di riflesso, anche la nostra: quella clandestina data per scordata e mai condonata. Scarti, rifiuti, oggetti smarriti, affogati in un naufragio all’inizio privato e poi pubblico, che dall’acqua affiorano trasfigurati nell’essenza estetica e sostanziale. Reliquie urbane riemerse da un singolare girone dantesco, rese irriconoscibili da metamorfosi chimiche e temporali; una sublimazione alchemica che ne sovverte la natura funzionale e originaria.
Come gli iceberg, la maggior parte degli oggetti è sommersa e una minima percentuale affiora all’esterno: riemergono testimonianze industriali e domestiche di un quotidiano rinnegato che, dopo anni di apnea, varcano il limite, rompono il confine dell’acqua per quello dell’aria. Le 15 immagini torbide, ovattate, quasi pittoriche, sfocate nei contorni come nei significati, acquistano carattere evocativo e alternativo a realtà ineluttabili e spietate: quelle della non curanza e dell’abbandono. Stampate in grandi formati su carta blue back sono affisse a Roma su cartelloni pubblicitari, protagoniste di una singolare campagna promozionale che in maniera democratica e popolare sponsorizzano l’inutile, il frammento, l’inservibile. Il Tevere esonda metaforicamente in strada, sale e irrompe nello spazio pubblico come forma di denuncia poetica che reclamizza la sua anima e ne rivendica il lato più visionario, la sua misteriosa e inquietante bellezza. I manifesti faranno da specchio etico, pretesto simbolico ed estetico a valenza universale per riflettere e riflettersi. Nell’abisso che ci guarda, magnifico e crudele, un accumulo di reperti sfilano nel silenzio del fiume che tutto trattiene e tutto ridà.

 

Tevere Expo, 2021

Urban installation, public display. From April 26 to May 10, 2021, Rome.
Project winner of Cantica21. Italian Contemporary Art Everywhere.

“When you gaze long into the abyss, the abyss gazes also into you.” (Friedrich Nietzsche)

The “Tevere Expo” project aims to make visible the obscure and unconscious soul of the river and, as a reflection, ours: the clandestine almost forgotten and never forgiven side of us.
Waste, lost objects drowned in a wreck firstly in the private sphere then in public, they emerge from water transfigurated in their aesthetical and substantial essence. Urban rest reappearing from Dante’s circle and made unrecognisable by a chemical and temporal metamorphosis; an alchemical sublimation that has overturned the initial nature of the objects.
Like icebergs, the majority of the objects are underwater. Only a minimal part emerges outside: bicycles, blankets, computers, clothes, televisions, tres , drying racks, steel road wheel, road traffic barriers, plastic clothes, fans are testimonials of an industrial and domestic reality that has been disavowed, and after years of apnea, it crosses the limits and breaks the surface of the water toward the air.
The turbid photographic images, muffled and out of focus in their profiles and as in their meanings, gain an alternative and evocative character of a merciless and unavoidable reality: the abandoned and careless one. Printed on a large format on thin paper chosen specifically because a poor and mass consumption material, they will be pasted on advertising spaces, becoming the protagonists of a unique promotional campaign that democratically sponsors the futile, the fragmented and the unusable.
The Tevere floods metaphorically into the streets, bursting into the public space as a form of protest, reclaiming its soul and demands its most visionary part, its mysterious and disturbing beauty.

Sta scrivendo…

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Sta scrivendo…, 2020

Azione urbana poetica
partecipata e condivisa da AlbumArte e Claudio Libero Pisano
Roma, 22 dicembre 2020, dall’alba al tramonto

“Raccontarsi è un esercizio complicato, prevede il mettere a nudo parti di sé spesso private o poco attinenti la dimensione pubblica.
Tempo fa Iginio mi ha proposto un suo lavoro che prevedeva la mia partecipazione diretta alla realizzazione. Si trattava di rendere pubbliche delle conversazioni. Uno scambio professionale e amicale intorno alla preparazione di una sua mostra che facemmo anni fa negli spazi di AlbumArte, a Roma. Così come erano, senza alcun editing.
Tutto era avvenuto su una chat telefonica, con errori, refusi e quant’altro. Ho riletto mesi di scambi, impressioni e valutazioni sul suo lavoro. Mezze parole, magari due righe per motivare un rifiuto o un assenso reciproco. Mi sono domandato a chi potessero interessare quella valanga di messaggi, spesso sgangherati, in un italiano più parlato che scritto, come usa oggi nella messaggistica. Non riuscivo a vederci niente che avesse un potenziale narrativo nello scorrere di quei messaggi.
Non mi piaceva, non mi sentivo a mio agio nel pubblicare conversazioni che pur professionali restavano nell’ambito di un percorso privato. Sarebbe stato come consegnare la brutta copia di un tema che si voleva invece redigere al meglio.
Ho capito nelle discussioni con Iginio che in realtà il suo obiettivo era centrare l’attenzione proprio sul brogliaccio, sulla brutta copia che precede la realizzazione di un progetto artistico. Raccontare come si arriva a una mostra e far vedere, senza aggiustamenti successivi, come si cresce reciprocamente nella realizzazione di un’opera
Lavoro con Iginio da anni, tra noi si è creata quella fiducia che ci consente di cominciare un progetto senza troppe certezze ma con la consapevolezza che lo porteremo a termine nel modo migliore. Quello che si legge in realtà tra le righe di quelle conversazioni non è più un linguaggio sincopato (e spesso sgradevole) al quale ormai siamo malamente abituati. É piuttosto la mappa che rivela da dove comincia tutto. Una volta sarebbero state lettere, poi delle mail. Ad oggi siamo alla messaggistica telefonica.
Ovviamente un progetto artistico non si limita a quello. Ma la scelta di Iginio di concentrarsi su questa fase ha il significato di mostrare anche le debolezze e gli errori. Ingrandisce il particolare di uno scarabocchio fatto mentre si è al telefono o uno schizzo sulla carta di una pizzeria romana, prima che arrivi la Margherita.
Si parla poco del rapporto tra curatore e artista, dei legami che servono ad arrivare a una mostra finita. Conoscere un artista è come accumulare scorte nel granaio in attesa che l’inverno arrivi. Acquisire informazioni, anche le più insignificanti, diventa un bene prezioso quando il curatore ha la responsabilità di esporre il lavoro. La relazione con lo spazio troverà suggerimenti anche grazie a quelle informazioni acquisite in momenti apparentemente trascurabili fatti di chiacchiere veloci, cene a casa o pause pranzo in giro per la città. Ogni cosa, anche minima, tornerà utile.
La banalità di una conversazione in chat diventa veicolo per provare a capire di cosa è fatto il rapporto tra un curatore e un artista. Chi sono e perché sono decisivi l’uno per l’altro.
Quei manifesti in giro per la città che mostrano frammenti di pensieri e parole rimettono finalmente l’artista e il curatore nel mondo degli imperfetti umani.
Umani, che lavorano, mangiano e pagano le utenze. Quello del mondo dell’arte è un universo sconosciuto ai più, fatto di grandi elogi ma di, quasi, nessuna politica reale di sostegno. In questo paese arte, spettacolo, intrattenimento sono un’unica parola. Quando se ne fa menzione si parla genericamente di musei, mai di chi questo mondo lo fa, lo costruisce passo per passo, ogni giorno. Sta scrivendo… scopre, senza filtri, quanto esiste dietro un progetto artistico.”

Claudio Libero Pisano

 

Sta scrivendo…, 2020

Poetic urban action
Participated and shared by AlbumArte and Claudio Libero Pisano
Rome, december 22, 2020, from sunrise to sunset

“Telling one’s story is a complicated exercise; it involves laying bare parts of oneself often private or loosely connected to the public dimension.
Some time ago, Iginio proposed a project that involved my direct participation in its realization. It was about making public our conversations, a professional and friendly exchange around the preparation of one of his exhibitions that we did years ago in the spaces of AlbumArte, in Rome. Just as they were, without any editing. Everything had happened on a phone chat, with errors, typos, and whatever else.
I revisited months of exchanges, impressions, and evaluations on his work. Half-words, perhaps two lines to explain a rejection or a mutual agreement. I wondered who might be interested in that avalanche of messages, often disjointed, in a more spoken than written Italian, as is common today in messaging. I couldn’t see anything with potential narrative in the flow of those messages. I didn’t like it; I didn’t feel comfortable publishing conversations that, even if professional, remained within the realm of a private journey. It would have been like handing in the rough draft of an essay that was meant to be polished to perfection. In discussions with Iginio, I understood that his actual goal was to focus attention on the draft, on the rough copy that precedes the realization of an artistic project. To tell how one arrives at an exhibition and to show, without subsequent adjustments, how mutual growth occurs in the creation of a work. I’ve been working with Iginio for years, and between us, a trust has been established that allows us to start a project without too many certainties but with the awareness that we will bring it to completion in the best way. What is actually read between the lines of those conversations is no longer a syncopated (and often unpleasant) language to which we are now poorly accustomed. It is more like the map that reveals where everything begins. Once they would have been letters, then emails. Today, we are at messaging.
Obviously, an artistic project is not limited to that. But Iginio’s choice to focus on this phase means showing weaknesses and mistakes as well. It enlarges the detail of a doodle made while on the phone or a sketch on paper in a Roman pizzeria before the Margherita arrives. Little is said about the relationship between curator and artist, about the ties needed to reach a finished exhibition. Knowing an artist is like accumulating supplies in the barn waiting for winter to come. Acquiring information, even the most insignificant, becomes a precious asset when the curator is responsible for exhibiting the work. The relationship with the space will find suggestions also thanks to that information acquired in seemingly negligible moments of quick chats, dinners at home, or lunch breaks around the city. Everything, even the smallest thing, will come in handy. The banality of a chat conversation becomes a vehicle to try to understand what the relationship between a curator and an artist is made of. Who they are and why they are crucial to each other.
Those posters around the city that show fragments of thoughts and words finally put the artist and the curator back in the world of imperfect humans. Humans who work, eat, and pay bills. The art world is unknown to most, made up of great praise but almost no real support policy. In this country, art, entertainment, and show business are one word. When mentioned, it is generally about museums, never about those who make this world, build it step by step, every day. He is writing… discovers, without filters, what exists behind an artistic project.”

Claudio Libero Pisano

Tricolore

 

Tricolore, 2020

Azione urbana
Roma, 2 giugno

Di fronte al Colosseo ho piantato una bandiera italiana in bianco e nero; il basamento su cui poggia, è un tronco di pino segato alla base che da anni fa da piedistallo spontaneo ai milioni di turisti che si avvicendano per la foto di rito. Al posto dei sorrisi e delle pose studiate adesso c’è il vuoto, il vento e i gabbiani. In quello che doveva essere il centro del mondo, ora volteggia un simbolo del dubbio e dell’incertezza.

 

Tricolore, 2020

Urban action
Rome, June 2nd

In front of the Colosseum, I installed a black and white Italian flag; the pine’s log on which it rests has been there for years and used as a pedestal by million of tourists taking the ritual pictures. Instead of the smiling faces and the accurately planned photos poses, there is now a void, together with the wind and the seagulls. A place meant to be the centre of the world, it is now a symbol of doubt and uncertainty swings.

Tiramisù

 

Tiramisù, 2019

Azione relazionale per “La quarta notte di quiete: SCARTI”
a cura di Christian Caliandro
Osteria da Morandin, dal 10 al 12 ottobre 2019, quartiere di Veronetta, Verona

Il contesto turistico e stereotipato di Romeo e Giulietta è il presupposto shakespeariano a cui mi ispiro. Abusata e saccheggiata dal costante pellegrinaggio laico e commerciale, la storia pone i due amanti al centro di questioni poco edificanti, rancori, rivalità, conflitti e discordie dal sapore, però, sorprendentemente contemporaneo.”.
Scrive così Iginio De Luca (1966) nell’introduzione al suo ultimo progetto, dall’ironico titolo Tiramisù, messo in scena a Verona lo scorso ottobre durante la fiera ArtVerona. “Romeo brama Giulietta che magneticamente lo attrae in alto, verso il suo balcone, lo spazio del desiderio che implora salvezza e compimento. Scalando il muro di cinta del giardino di casa Capuleti, Romeo vince le separazioni che impediscono il contatto, compiendo un blitz sovversivo, un gesto rivoluzionario e politico oltre che amorevole”, continua.
L’artista, famoso per i suoi caratteristici “blitz”, opere non annunciate e non autorizzate che aprono momenti di riflessione e dibattito interrompendo il flusso della vita quotidiana, ha ambientato l’azione negli spazi conviviali dell’osteria “da Morandin”, nel quartiere d Veronetta. A tutti i partecipanti ha chiesto di esprimere un desiderio: cosa o chi vorrebbero raggiungere per potersi salvare, per essere “tirati su”? “Una salvezza utopica, forse irrealizzabile ma che concretizza nel sogno e nell’immaginazione un bisogno visionario di aiuto. Il contesto umano si innesta su quello gastronomico, quello privato su quello popolare e pubblico, le storie di un’osteria diventano testimonianze dai sapori delicati, acri, dolci, amari e il “Tiramisù”, dolce di origine veneta, è il pretesto metaforico di questi dialoghi.

 

Tiramisù, 2019

Relational action for “The fourth night of quiet: SCARTI”
curated by Christian Caliandro
Osteria da Morandin, from October 10 to 12, 2019, in the Veronetta district, Verona.

The touristy and stereotypical context of Romeo and Juliet is the Shakespearean premise to which I am inspired. Abused and plundered by the constant secular and commercial pilgrimage, the story places the two lovers at the center of less edifying matters, resentments, rivalries, conflicts, and discord with a surprisingly contemporary flavor.
This is how Iginio De Luca (1966) writes in the introduction to his latest project, ironically titled “Tiramisù,” staged in Verona last October during the ArtVerona fair. “Romeo craves Juliet, who magnetically draws him upward, toward her balcony, the space of desire that begs for salvation and fulfillment. Scaling the garden wall of the Capulet house, Romeo overcomes the separations that prevent contact, making a subversive, revolutionary, and political gesture as well as a loving one,” he continues.
The artist, known for his characteristic “blitz,” works that are unannounced and unauthorized, opening moments of reflection and debate by interrupting the flow of daily life, set the action in the convivial spaces of the “da Morandin” tavern in the Veronetta district. He asked all participants to express a desire: what or who they would like to reach to save themselves, to be “pulled up”? “A utopian salvation, perhaps unrealizable but that concretizes in dreams and imagination a visionary need for help. The human context is grafted onto the gastronomic one, the private onto the popular and public one; the stories of a tavern become testimonies with delicate, pungent, sweet, bitter flavors, and the “Tiramisù,” a dessert of Venetian origin, is the metaphorical pretext for these dialogues.”

 

 

Aria pulita

Aria pulita, 2008

Video PAL, 4:3, colore, sonoro, durata 1’12”

Il movimento leggero e ondeggiante delle foglie evoca il tepore di un immaginario paesaggio esotico; gli uccelli e il vento creano un’atmosfera rilassante e spensierata. Gradualmente il campo si allarga e il tutto approda a una dimensione molto più prosaica e quotidiana.

 

Aria pulita, 2008,

Video PAL, 4:3, color, sound, duration: 1’12”

The light and wavy movement of the leaves
evokes The light and wavy movement of the leaves
evokes the warmth of an imaginary exotic landscape; the birds and the wind create a relaxing and carefree atmosphere. Gradually the field of vision
 widens and all of this reaches a much
more prosaic and everyday dimension.

Garibaldi fu ferito

Garibaldi fu ferito, 2018

Video HD, 16:9, colore, sonoro, durata: 26’’

Alle ore 5:20 del mattino il 7 settembre 2018 si è abbattuto un fulmine sul monumento di Garibaldi al Gianicolo di Roma. L’avvenimento del tutto casuale e imprevedibile ha provocato alcuni danni ai marmi sottostanti la statua equestre.
L’evento naturale diviene punizione divina, monito provvidenziale a ripensare l’Italia dalle sue origini unitarie e dal suo “eroe”.

 

Garibaldi fu ferito, 2018

Video HD, 16:9, color, sound, duration: 26’’

At 5:20 in the morning the 7th September 2018, a flashlight has hit  the Garibaldi’s monument at Gianicolo, Rome. The event, completely accidental and unpredictable has damaged some of the marble at the bottom of the equestrian statue. The natural event becomes God’s punishment, providential warning to rethink Italy, its united origin and of its “hero”.

Sanrocco

Sanrocco, 2014

Video 16:9, colore, sonoro, durata: 1’35’’

Il 16 agosto si festeggia San Rocco, patrono di Campodimele, il paese di mio padre in provincia di Latina. Dopo la messa, la processione e la banda itinerante, la sera il Santo viene salutato con i fuochi di rito. Spostare il punto di vista sulle persone vuol dire osservare chi non è festeggiato e vive di luce riflessa, quella sfavillante dei giochi pirotecnici. I Lampi intermittenti bloccano le figure sorprese in flash improvvisi, a metà tra la paura e lo stupore.

 

Sanrocco, 2014

Video 16:9, color, sound, duration: 1’35’’

The 16th August people celebrate San Rocco, patron Saint of Campodimele, my father’s birthplace in the province of Latina. In the evening the Saint is greeted by the traditional fireworks. To change the focal point on the people means to observe who is not celebrated and lives of reflected light, the shining one of the fireworks. The intermittent Lightnings freeze the surprising figures by the sudden flash, between fear and surprise.

Quattro a uno

Quattro a uno, 2008

Video Pal, 4:3, b/n, sonoro, durata: 1’39”

Una surreale partita a ping pong seguita ad occhi chiusi, uno scambio onirico e mentale che ribalta i punti di vista.

 

Quattro a uno, 2008

Video Pal, 4:3, b/n, sound, duration: 1’39”

A surreal match of ping pong followed with eyes closed, a dreamlike and mental exchange that put overturns the point of views.

Solarium – fourteen artellaro

Solarium, Fourteen Artellaro, 2019

Video HD, colore, sonoro, durata: 1’43”

Dall’artificio di una vetrina, allestita sotto la luce bianca che arriva da corrente elettrica, è messa in scena l’essenza delle cose la cui fissità non è persuasiva e per questo in attesa di un cambiamento, di un dinamismo incontrollabile: l’eccedenza della natura stessa, in questo caso dei fiori.
La coincidenza di essere e di senso che il fiore racconta con ogni fotogramma del suo divenire, crea nel video quella strana, impercettibile mobilità che trasforma la fissità in un fluire lento e inesorabile verso la mutazione.
In questa concezione dialettica della realtà, nell’interazione dei principi contrapposti “artificio/natura”, “visibile/invisibile”, “vita/morte”, “passato/futuro”, il lavoro rappresenta l’equilibrio raggiunto tra i contrari e il medium che lo racconta è “il tempo” percepito nel suo incessante andare.

Mariavelia Chiara Siciliano

 

Solarium, Fourteen Artellaro, 2019

Video HD, color, sound, duration: 1’43”

From the artifice of a shop window, created under a white light that is generated from an electrical source, it arises a scene about the essence of things in which their stillness is not persuasive and for this,  while waiting for a change, of an uncontrollable dynamism: the surplus of nature itself, in this case of the flowers. The coincidence of being and its meaning that the flower tells in  each photogram of its development, create in the video this strange, unperceivable movement that transforms the stillness in a slow and inexorable flowing towards the changes. In this dialectic conception of reality, in the interaction of the opposing principles “artificial/natural”, “visible/invisible”, “life/death”, “Past/Future”, the work represents the balance achieved  between the opposite and the medium that narrates this is “the time” perceived in its unstoppable flow.

Mariavelia Chiara Siciliano

Le voci di dentro

 

Le voci di dentro, 2016

9 lapidi di marmo Marquinia incise in oro, cm 85 x 55 l’una.
Mostra “Camerini”, MAS, Magazzini allo Statuto, Piazza Vittorio
A cura di Artisti Innocenti, Anna Cestelli Guidi e Helia Hamedani

Celebro grottescamente la morte di un’epoca, la morte di un luogo, i Magazzini MAS. Le scritte grossolane a pennarello vengono elevate a nobili epitaffi funebri di memorabili storie: “collant donna”, “pantaloni da lavoro”, “maglie bimbi”, “camice bianco” e cosi via. Una celebrazione del magazzino, del suo interno, dei nomi senza i prodotti, degli oggetti senza le persone perché ne rimane solo l’anima. L’atmosfera è glaciale in un fronteggiamento lapidario di scritte in oro che glorificano il popolo, l’oggetto banale, insignificante. Ma tutto acquista senso e simbolo. Luce al neon e camerino argento metallizzato, l’entrata in una cella frigorifera, una vetrina glaciale dell’al di là. E’ un omaggio ultraterreno e metafisico alla difficoltà del vivere.

 

Le voci di dentro, 2016

9 Marquinia marble plaques engraved in gold, each measuring 85 x 55 cm.
Exhibition “Dressing Rooms,” MAS, Magazzini allo Statuto, Piazza Vittorio
Curated by Artisti Innocenti, Anna Cestelli Guidi, and Helia Hamedani

I grotesquely celebrate the death of an era, the death of a place, the MAS Warehouses. Coarse pen markings are elevated to noble funeral epitaphs of memorable stories: “women’s tights,” “work trousers,” “children’s sweaters,” “white coats,” and so on. A celebration of the warehouse, of its interior, of names without products, of objects without people because only the soul remains. The atmosphere is icy in a lapidary confrontation of golden inscriptions glorifying the people, the banal, insignificant object. But everything acquires meaning and symbolism. Neon light and metallic silver dressing room, entering a refrigerated cell, a cold showcase of the beyond. It is a otherworldly and metaphysical homage to the difficulty of living.

Uno per tutti

Uno per tutti, 2018

Installazione sonora per il Festival Algoritmo, Teatro Scuderie, Caprarola (VT) durata: 2’06’’

L’inno ufficiale dell’Unione europea è costituito da un brano del movimento finale della Nona sinfonia di Beethoven, chiamato anche Inno alla Gioia della durata di 1’03’’.
Divido i 63 secondi dell’inno per 28 (i Paesi che formano l’Unione) e scompongo il brano in frammenti di poco più di 2 secondi l’uno. Un banale calcolo matematico diviene generatore di metafore, pretesto numerico che spezza il suono e smembra l’Inno attraverso 28 tracce audio con le rispettive 28 pause.
I brandelli di note sfigurano la musica e l’Europa, vanificandone simbolicamente la continuità sonora che disorienta l’ascoltatore ormai privo di riferimenti logici e consequenziali. I 28 mini-inni sono la metafora di un’Europa parcellizzata che stenta a compattarsi e rifugge un contesto corale scivolando compulsivamente in una dimensione autoreferenziale ed egoistica, separando più che aggregando, dividendo più che sommando.

 

Uno per tutti, 2018

Sound installation for the Algoritmo Festival, Teatro Scuderie, Caprarola (VT) Duration: 2’06’’

The official anthem of the European Union consists of a segment from the final movement of Beethoven’s Ninth Symphony, also known as the “Ode to Joy,” lasting 1’03’’. I divide the 63 seconds of the anthem by 28 (the countries comprising the Union) and break down the piece into fragments of just over 2 seconds each. A trivial mathematical calculation becomes a generator of metaphors, a numerical pretext that breaks the sound and dismembers the anthem into 28 audio tracks with their respective 28 pauses.
The shreds of notes disfigure the music and Europe, symbolically nullifying its sonic continuity, which disorients the listener now devoid of logical and consequential references. The 28 mini-anthems are a metaphor for a fragmented Europe struggling to coalesce and shunning a choral context, compulsively sliding into a self-referential and selfish dimension, dividing more than aggregating, separating more than summing.

Siamo gli automi e gli ordigni

[ph] Sebastiano Luciano

 

Siamo gli automi e gli ordigni (Megafoni), 2017-2019

Il megafono entra nel mio repertorio artistico nel 2016 quando compio il blitz “Venghino siori, venghino” ponendo in risalto, attraverso un’azione performativa, alcune scelte maldestre di Cristiana Collu, la direttrice della Galleria Nazionale di Roma. E’ un elemento simbolico che ha vocazioni storiche, politiche e popolari e in quel contesto era particolarmente adatto ad una dimostrazione da finto venditore ambulante quale ero io.
In seguito, nel mio lavoro, ha assunto valenze diverse sintetizzando efficacemente le componenti politiche e poetiche della mia ricerca. E’ divenuto specchiante e ruotante di 180° per una mostra in cui lo spettatore si trovava coinvolto e complice in un gioco di ruoli partecipativi; poi ha avuto delle scritte poetiche davanti alla campana acustica, citazioni ispirate a Libero de Libero che alludevano ad un tono lirico e rivoluzionario allo stesso tempo; è divenuto in ceramica per una performance compiuta nel 2018 nel contesto collettivo di “NoPlace” nell’ex ceramica Vaccari a Santo Stefano di Magra (SP). In questo caso la mia voce attraversava l’oggetto ed usciva “sublimata” , filtrata dalla materia anch’essa trasformata dalla cottura della creta. Infine, il megafono, è stato protagonista di un blitz a tema, in dedica sempre a Libero de Libero ed ambientato a Fondi, sua città natale, a settembre del 2018.
Le frasi declamate e stampate su piccoli foglietti colorati che regalavo, sia nella precedente performance che in quest’ultima, erano allusive ad una condizione ispirata e sognante ma contemporaneamente fiera, sostanziata da un forte senso etico e responsabile.

 

Siamo gli automi e gli ordigni (Megafoni), 2017-2019

The megaphone entered my artistic repertoire in 2016 when I carried out the blitz “Venghino siori, venghino,” highlighting, through a performative action, certain awkward choices made by Cristiana Collu, the director of the Galleria Nazionale di Roma. It’s a symbolic element with historical, political, and popular implications, and in that context, it was particularly suitable for a demonstration as a fake street vendor, which was my role at the time.
Subsequently, in my work, it assumed different values, effectively synthesizing the political and poetic components of my research. It became a mirror and rotated 180° for an exhibition where the spectator was involved and complicit in a game of participatory roles; then it featured poetic writings in front of the acoustic bell, quotations inspired by Libero de Libero that alluded to a lyrical and revolutionary tone simultaneously. It was even crafted in ceramic for a performance in 2018 in the collective context of “NoPlace” at the former Vaccari ceramics in Santo Stefano di Magra (SP). In this case, my voice passed through the object and emerged “sublimated,” filtered by the material also transformed by the firing of the clay. Finally, the megaphone was the protagonist of a themed blitz, dedicated to Libero de Libero and set in Fondi, his hometown, in September 2018.
The declaimed phrases and printed on small colored sheets that I gave away, both in the previous performance and in the latter, alluded to an inspired and dreamy yet simultaneously proud condition, substantiated by a strong sense of ethics and responsibility.

Fiducia

 

Fiducia, 2018

Progetto fotografico

I cartelloni compaiono a Roma ogni volta che l’occasione elettorale ne richiede la presenza cercando di attirare consensi sempre più demotivati da politici che non toccano la realtà e non risolvono.
Ogni volta le lastre metalliche e i tubi innocenti accolgono carta e slogan, stratificando volti, sguardi ammiccanti, sorrisi tirati.
L’immagine è quella dell’attesa, di un vuoto che aspetta le somme, una tabula rasa di ruggine maculata che sembra comunicare fisicamente un sentimento di disfatta e abbandono.
Il caso, solo lui ha in mano la chiave di volta, la password che rilancia la disfatta; in alto a destra, isolata da tutto, su un cartellone centrale, compare la scritta superstite, la sopravvissuta alla sparizione: FIDUCIA.

 

Fiducia, 2018

Photographic Project

Billboards appear in Rome every time the electoral occasion requires their presence, attempting to attract approval increasingly demotivated by politicians who do not touch reality and do not solve problems. Each time, metal plates and innocent tubes welcome paper and slogans, layering faces, winking glances, and strained smiles.
The image is one of waiting, of a void waiting for sums, a blank slate of stained rust that seems to physically convey a sense of defeat and abandonment. Chance, only it holds the key, the password that relaunches the defeat; in the top right corner, isolated from everything, on a central billboard, the inscription appears: survivor, the one who survived disappearance: TRUST.

Iailat

 

Iailat, 2019

Performance musicale, Villaggio Olimpico, Roma
A cura di VILLAM

Il video racconta il percorso creativo dell’opera sonora “Iailat” di Iginio De Luca, avviato proprio con l’installazione nel Sound Corner dell’Auditorium del febbraio 2018. Durante le elezioni politiche del mese successivo il suono è diventato protagonista di uno dei blitz dell’artista nello spazio urbano. il 20 dicembre 2019 è approdato infine all’esecuzione live nella performance per “L’Inaugurazione”, a cura di VILLAM, in piazza Jan Palach, nel cuore del Villaggio Olimpico a Roma.
La composizione dell’Inno Nazionale rivisitata dall’artista, che la dilata, la trasforma, rendendola quasi irriconoscibile, è diventata esperienza reale, performativa, esecuzione emozionante e partecipata, grazie ad una banda musicale di 10 elementi. Un incontro dissonante e surreale di due differenti condizioni esistenziali, due diversi tempi in un continuo slittamento percettivo. È quasi impossibile ritrovare il ritmo originario in un esasperato rallentamento esecutivo. Lo stesso concetto lo si rintraccia nel titolo “Iailat” che non è altro se non l’anagramma di “Italia”: gli elementi che compongono la parola – così come il brano musicale – ci sono tutti ma sono disposti (o distorti) in modo tale da risultare indecifrabili.
Ci chiediamo: è ancora possibile un’unità? (d’Italia?)

 

Iailat, 2019

Musical performance, Villaggio Olimpico, Rome
2019
Curated by VILLAM

The video recounts the creative journey of Iginio De Luca’s sound work IAILAT, which began with the installation in the Sound Corner of the Auditorium in February 2018. On the morning of Sunday 4 March, on the occasion of the Italian elections, the sound installation becomes a new Blitz by the artist and comes out of the foyer of the building designed by Renzo Piano to spread throughout the city, creeping into streets and squares until it reaches in front of the polling stations.  IAILAT is a sound track of the Italian anthem stretched and distorted, an 80% reduction in speed that makes the famous piece written by Mameli unrecognisable. Then – as now in this Covidian year – “this very long Fratelli d’Italia reveals itself as an effective metaphor for the country of Italy: the slowness and heaviness of an entire people incapable of emerging from the slime into which it has fallen. The title itself (an anagram of the word Italia) is presented as an image of a nation dismembered, divided and senseless, which becomes something else in an attempt to give itself a new configuration that never seems to arrive”

 

 

Iailat,  2018

Installazione sonora
Sound Corner dell’Auditorium Parco della Musica, Roma
A cura di Silvano Manganaro

Nell’ormai lontano 1906, Giovanni Papini ne Il tragico quotidiano scriveva: “Vedere il mondo comune in modo non comune: ecco il vero sogno della fantasia”. Ed è questo quello che fa Iginio De Luca con la sua istallazione sonora per il Sound Corner dell’Auditorium di Roma: prende un’esecuzione dell’Inno Nazionale (nello specifico quella diretta da Daniel Harding per il Concerto di Capodanno 2010 a La Fenice di Venezia) e la dilata talmente tanto da farla diventare irriconoscibile, trasformandola in qualcosa d’altro. Con questa semplice operazione l’artista ci costringe a puntare non gli occhi ma le orecchie su qualcosa che conosciamo talmente bene (e abbiamo udito talmente tante volte!) da non aver mai ascoltato veramente. Fratelli d’Italia si trasforma così da incalzante marcetta in una tragica e larghissima pista sonora dolente e tragica. E qui le interpretazioni e le possibili letture diventano molteplici. L’audio, paradossalmente, acquista una potenza visiva e immaginifica inaspettata. Percepiamo perfettamente il lento procedere… di un popolo? di un’idea? Suoni che provengono dall’oltretomba sembrano emergere con estrema fatica da una palude fangosa. È quasi impossibile ritrovare il ritmo originario. Lo stesso concetto lo si rintraccia nel titolo Iailat che non è altro se non l’anagramma di Italia: gli elementi che compongono la parola – così come il brano musicale – ci sono tutti ma sono disposti (o distorti) in modo tale da risultare indecifrabili. Ci chiediamo: è ancora possibile un’unità? (d’Italia?)

Silvano Manganaro

 

Iailat,  2018

Sound Installation
Sound Corner, Auditorium Parco della Musica, Rome
Curated by Silvano Manganaro

In the now distant 1906, Giovanni Papini wrote in ‘Il tragico quotidiano’: ‘To see the common world in an uncommon way: that is the true dream of imagination.’ And this is what Iginio De Luca does with his sound installation for the Sound Corner of the Auditorium in Rome: he takes a performance of the National Anthem (specifically, the one conducted by Daniel Harding for the New Year’s Concert 2010 at La Fenice in Venice) and stretches it so much that it becomes unrecognizable, transforming it into something else. With this simple operation, the artist compels us to focus not our eyes but our ears on something we know so well (and have heard so many times!) that we have never really listened to. ‘Fratelli d’Italia’ thus transforms from a compelling march into a tragic and broad lamenting and tragic sound track. Here, interpretations and possible readings become multiple. Paradoxically, audio gains an unexpected visual and imaginative power. We perfectly perceive the slow progress… of a people? of an idea? Sounds emanating from the afterlife seem to emerge with extreme difficulty from a muddy swamp. It is almost impossible to find the original rhythm. The same concept is found in the title ‘Iailat,’ which is nothing more than the anagram of Italia: the elements that make up the word – just like the musical piece – are all there, but they are arranged (or distorted) in such a way as to be indecipherable. We wonder: is unity still possible? (of Italy?)

Silvano Manganaro

Tricolore

 

Tricolore, 2018

Azzerare il tricolore è come insinuare il dubbio nelle cose più ovvie e scontate, disorientare cromaticamente e simbolicamente un’istituzione, un concetto ormai assodato, incontrovertibile. Avviare un’operazione mnemonica e ricominciare ad osservare un’immagine sempre saputa ma mai vista attentamente. Il bianco e nero vuole essere un depistaggio semantico, ponendo in questione la scala dei grigi che nelle diverse gradazioni alludono al tricolore italiano, ma che potrebbe essere anche quello francese o del Belgio o di chissà quale altra nazione. C’è bisogno di un atto di fede nel riconoscere i colori nei grigi, c’è bisogno di una partecipazione attiva in chi guarda.

 

Tricolore, 2018

Removing the tricolor is like insinuating doubt into the most obvious and obvious things, chromatically and symbolically disorienting an institution, a now well-established, incontrovertible concept. Start a mnemonic operation and start observing an image you always knew but never saw carefully. The black and white aims to be a semantic misdirection, calling into question the gray scale which in its different shades alludes to the Italian tricolour, but which could also be that of France or Belgium or who knows what other nation. There is a need for an act of faith in recognizing the colors in the greys, there is a need for active participation in the viewer.

 

Attenzione ai carichi sospesi

Attenzione ai carichi sospesi, 2018

Stampa Fine Art su carta Hahnemuhle montata su dibond, 105 x 155 cm.

Tre bandiere spuntano da una parete esterna di un palazzo: l’Italia, l’Europa e quella capitolina. Tre bandiere che si affacciano sul vuoto, tre Istituzioni che sventolano i propri simboli su un tappeto bianco, assolato che cela l’immagine della facciata in attesa di cure. E’ una celebrazione inutile, uno sventolare surreale in omaggio al niente e a qualcosa di non visibile, un’entità misteriosa in attesa di connotazione.

 

Attenzione ai carichi sospesi, 2018

Fine Art Print on Hahnemuhle paper mounted on dibond, 105 x 155 cm.

Three flags emerge from an external wall of a building: Italy, Europe, and the one representing the city of Rome. Three flags overlooking the void, three institutions waving their symbols on a white, sunlit carpet that hides the image of the facade awaiting maintenance. It is a useless celebration, a surreal waving in homage to nothing and something invisible, a mysterious entity waiting to be characterized.

Lavami

 

Lavami, 2010 – 2018

Graffito su cemento, neon, cm 300×300 – Roma, collezione privata

Il blitz “Lavami” è del 2010 e fu compiuto immaginando come se qualcuno al di sopra di tutti noi (persino del Papa) tracciasse col suo dito gigante una parola-chiave dal sapore nazional-popolare.
La scritta si compone in grande, lettera dopo lettera, sulla cupola della basilica di S. Pietro a Roma, come quelle proiezioni luminose che nel cielo notturno di Gotham City annunciavano l’arrivo di Batman. “Lavami” è un graffito di luce simile a quelli disegnati con le dita sui vetri sporchi delle auto in sosta. Un graffito virtuale che proiettato su uno dei simboli più universali e più contraddittori del nostro immaginario collettivo è un invito all’istituzione che rappresenta a manifestare il suo volto accogliente e profetico piuttosto che quello temporale e opportunistico che troppo spesso la contraddistingue nelle sue prese di posizione caratterizzate da una doppia morale: una per il principe e un’altra per i sudditi.
A distanza di 8 anni, il Blitz si trasforma in un’installazione per una nobile collezione d’arte contemporanea; il gesto apparentemente effimero e temporaneo diviene lavoro permanente ripensato concettualmente e tecnicamente per un contesto domestico e una fruizione decisamente meno pubblica.

 

Lavami, 2010 – 2018

Graffiti on concrete, neon, dimensions 300×300 cm – Rome, private collection

The “Wash Me” blitz dates back to 2010 and was carried out imagining as if someone above all of us (even the Pope) were to trace a national-popular flavored keyword with their giant finger. The inscription is composed large, letter by letter, on the dome of St. Peter’s Basilica in Rome, like those light projections that in the nighttime sky of Gotham City announced Batman’s arrival. “Wash Me” is a graffiti of light similar to those drawn with fingers on the dirty windows of parked cars. A virtual graffiti projected onto one of the most universal and contradictory symbols of our collective imagination is an invitation to the institution it represents to manifest its welcoming and prophetic face rather than the temporal and opportunistic one that too often distinguishes it in its positions characterized by double standards: one for the ruler and another for the subjects.
Eight years later, the blitz transforms into an installation for a noble contemporary art collection; the seemingly ephemeral and temporary gesture becomes a permanent work rethought conceptually and technically for a domestic context and a decidedly less public fruition.

Garibaldi fu ferito

 

Garibaldi fu ferito, 2018

Progetto fotografico

Alle ore 5:20 del mattino il 7 settembre 2018 si è abbattuto un fulmine sul monumento di Garibaldi al Gianicolo di Roma. L’avvenimento del tutto casuale e imprevedibile ha provocato alcuni danni ai marmi sottostanti la statua equestre.
L’evento naturale diviene punizione divina, monito provvidenziale a ripensare l’Italia dalle sue origini unitarie e dal suo “eroe”.

 

Garibaldi fu ferito, 2018

Photographic Project

At 5:20 in the morning on September 7, 2018, lightning struck the Garibaldi monument at the Gianicolo in Rome. The entirely random and unpredictable event caused some damage to the marbles beneath the equestrian statue.
The natural event becomes a divine punishment, a providential warning to rethink Italy from its unitary origins and its “hero.”

Solarium – Fourteen Artellaro

 

Solarium – Fourteen Artellaro

Installazione site specifics all’interno della rassegna “La superficie accidentata”
a cura di Gino D’Ugo

L’ottavo appuntamento della terza rassegna di Fourteen è con l’artista Iginio De Luca che con l’installazione SOLARIUM utilizza lo spazio come serra che non preserva, edicola floreale che si fa edicola sacra della rappresentazione attraverso l’immagine della caducità delle cose. La superficie accidentata in questa installazione si fa memento mori, e dialogo tra sacro e profano.
Questo è un atto realistico ed inquietante che discute con l’idea dell’inamovibile attraverso la manipolazione e con falso mito dell’eterna bellezza come costruzione del corpo.

“LA VITA IN DIVENIRE”

Testo di Mariavelia Chiara Siciliano

Ad osservare Solarium di Iginio De Luca lo sguardo comincia presto ad interrogarsi su ciò che sfugge, a cercare ciò che manca, quel qualcosa che non riesce subito a cogliere.
L’osservatore è posto di fronte ad un’immagine la cui fissità non è persuasiva e per questo resta in attesa di registrare un cambiamento che sente debba arrivare.
“Chi dovesse scrivere la storia del paesaggio si troverebbe subito senza soccorso, in balia di una cosa che a lui è incomprensibile, estranea, lontana. Che noi siamo abituati alle forme umane, e il paesaggio non ne ha una; noi siamo abituati a pensare dietro ogni gesto un atto di volontà, e il paesaggio non vuole, anche se si muove.” La riflessione del poeta Rilke sul rapporto privo di familiarità tra l’uomo e la natura nell’arte occidentale sottende ai modi dello strutturarsi del rapporto io-mondo, in un’analisi del soggetto che trasforma la natura, che interviene su di essa oggettivandola, manipolandola, per asservirla ai fini precostituiti. La natura, tuttavia, “si muove” e in questo tentativo di riduzione dell’eccedenza, non nasconde allo sguardo dell’osservatore il suo movimento perpetuo, indipendente ed indomabile, che la volontà del soggetto non può piegare, non può tacere. In vetrina l’artista non espone una natura morta ed ecco svelato ciò che il nostro occhio attende: “scorgere il movimento vitale dei fiori”.
De Luca, dietro la costrizione spaziale che vuole ridurre ad una lettura frontale e quasi riassorbire ad una bidimensionalità fotografica la sua narrazione, coglie esplicitamente questo divenire della natura e dichiara uno stridente superamento di una messa in scena ferma, misurabile, artificiale di una vetrina illuminata al neon con una composizione floreale precisa e ben studiata, per restituire il dinamismo incontrollabile, l’eccedenza della natura stessa, in questo caso dei fiori. Quest’eccedenza, che segna l’intimo movimento della natura, impedisce che la si possa fermare in un’immagine definitiva, così De Luca racconta, attraverso il visibile, l’invisibile, attraverso il movimento dello sfiorire, le forze costitutrici della natura stessa. Dall’artificio di una vetrina, allestita sotto la luce bianca che arriva da corrente elettrica, è messa in scena l’essenza delle cose, la forza dei fenomeni naturali. Ancora dall’oggetto statico, costruito e fissato come parte immobile di una quinta teatrale, l’artista porta in scena il naturale ed inarrestabile ritmo perpetuo della vita, in cui l’oggetto si fa soggetto narrante. L’attenzione dell’osservatore vive uno slittamento dal “prodotto” artistico al “processo” artistico dei fiori in lenta trasformazione che emerge come parte del movimento precostituito dell’universo e diventa il vero soggetto dell’istallazione. Siamo ben lontani da una contemporanea rappresentazione di una natura morta. Possiamo immaginare che l’artista abbia voluto riflettere sul misconoscimento comune che lega l’uomo alla natura, sottolineandone l’incessante divenire, il trasformarsi della materia che non può essere gestito da alcuna volontà estranea alle sue stesse leggi, rappresentando visivamente il concetto nietzschiano secondo il quale «La natura non conosce nessuna forma o concetto, né genere alcuno, bensì soltanto una X per noi inaccessibile e indefinibile»
Il Solarium di Iginio De Luca è in tal senso una vetrina illuminata sulle forze invisibili che operano nella parte visibile dei fiori esposti. Questo incontro dell’artista con la natura implica il riconoscimento completo del libero fluire e trasformarsi della materia, della vita che non esclude la morte, che non si pone agli antipodi di questa e che anzi viene compenetrata da questo sentimento di caducità, di finitezza. All’artista “tocca amare il mistero”, scrive ancora Rilke, perché l’arte è “amore che si riversa sul mistero” e De Luca si lascia sedurre dalla rappresentazione disincantata di questo movimento e dei suoi segreti meccanismi ineluttabili. Non c’è rottura, non c’è trapasso tra un prima e un dopo in questa sua istallazione che inscena altresì il moto continuo che lega l’origine e la fine. Attraverso un sentimento circolare del tempo, che mette in contatto la vita e la morte come passaggi fluidi dell’esistenza, l’artista restituisce questo transito in cui gli opposti permangano in uno stato di equilibrio.
Non espone De Luca l’origine e lo sfiorire di un fiore, ma “la coincidenza di essere e di senso” che il fiore racconta con ogni fotogramma del suo divenire, in una narrazione serena dell’esistenza, dello scorrere del tempo. Il lento appassire dei fiori esposti, senza alcuna sublimazione formale, porta la riflessione sulla finitezza della vita, sulla consapevolezza della morte, sulla precarietà d’ogni passaggio. “L’esistenza è in realtà un tempo imperfetto che non diventa mai un presente” afferma il giovane Nietzsche indagando l’apertura al senso d’ogni cosa dischiusa dalla nostra memoria e i fiori in vetrina di De Luca raccontano questo fluire incessante, questa vita in divenire, la sua effimera e tragica impermanenza.
L’artificio convive con la natura, la vita con la morte, il presente sottende il futuro della decomposizione floreale esposta al neon e tutto rimanda a un sentimento nostalgico sulla labilità del tempo, in una poetica lontana dalla retorica in cui il peso dell’esistenza è tenuto dallo stelo delicato di un fiore. Nel divenire della forma troviamo in questa istallazione una delicata rappresentazione del “pànta rhei” eracliteo, insieme con la dottrina dei contrari su cui si fonda la realtà, il logos indiviso, la legge universale della natura. In questa concezione dialettica della realtà, nell’interazione dei principi contrapposti dall’artista “artificio/natura”, “visibile/invisibile”, “vita/morte”, “passato/futuro”, in cui il “divenire” è la condizione necessaria dell'”essere”, Solarium rappresenta l’equilibrio raggiunto tra i contrari e il medium che lo racconta è “il tempo” percepito nel suo incessante andare, attraverso le poche ore concesse ai fiori di spandere il loro profumo al di la della vetrina. Tornano ad incontrarsi coppie di opposti che diventano cifra stilistica costante nella produzione dell’artista il quale, in opere autobiografiche di forte impatto empatico come Autofocus, fonde, sovrappone, intreccia l’immagine del suo volto con quello dei genitori scomparsi ed, esorcizzando la ferita della perdita, restituisce al presente un senso nuovo del tempo in cui si rincorrono passato e futuro, vita e morte, presenza ed assenza in una realtà visiva dinamica, fluttuante, in una narrazione identitaria, restituita dalla propria storia familiare, eternizzata in un’immagine in cui il molteplice diventa unità e le intersezioni di tempo passato e presente sono insieme fermate nel futuro dai ritratti fotografici.

 

Solarium – Fourteen Artellaro

Site-specific installation within the exhibition “La superficie accidentata”
Curated by Gino D’Ugo

The eighth event of the third exhibition of Fourteen is with the artist Iginio De Luca, who with the installation SOLARIUM uses the space as a greenhouse that does not preserve, a floral shrine that becomes a sacred shrine of representation through the image of the transience of things. The accidental surface in this installation becomes a memento mori, and a dialogue between the sacred and the profane.

This is a realistic and disturbing act that discusses the idea of the immovable through manipulation and the false myth of eternal beauty as a construction of the body.

“LIFE IN BECOMING”

Text by Mariavelia Chiara Siciliano

Observing Solarium by Iginio De Luca, the gaze soon begins to wonder about what escapes, to look for what is missing, that something that it cannot immediately grasp.
The observer is placed in front of an image whose fixity is not persuasive and therefore remains waiting to record a change that he feels must come.
“Anyone who had to write the history of the landscape would immediately find himself helpless, at the mercy of something that is incomprehensible to him, strange, distant. That we are used to human forms, and the landscape does not have one; we are used to thinking behind every gesture an act of will, and the landscape does not want, even if it moves.”
The poet Rilke’s reflection on the unfamiliar relationship between man and nature in Western art underlies the ways in which the I-world relationship is structured, in an analysis of the subject that transforms nature, that intervenes on it by objectifying it, manipulating it, to enslave it to pre-established purposes. Nature, however, “moves” and in this attempt to reduce excess, it does not hide from the observer’s gaze its perpetual, independent and indomitable movement, which the subject’s will cannot bend, cannot silence. In the window, the artist does not exhibit a still life and here is revealed what our eye awaits: “to see the vital movement of flowers”. De Luca, behind the spatial constriction that wants to reduce his narration to a frontal reading and almost reabsorb it to a photographic bidimensionality, explicitly grasps this becoming of nature and declares a strident overcoming of a fixed, measurable, artificial staging of a neon-lit window with a precise and well-studied floral composition, to restore the uncontrollable dynamism, the excess of nature itself, in this case of flowers.
This excess, which marks the intimate movement of nature, prevents it from being stopped in a definitive image, so De Luca tells, through the visible, the invisible, through the movement of fading, the constitutive forces of nature itself.
From the artifice of a window, set up under the white light that comes from electric current, the essence of things is staged, the force of natural phenomena. Again from the static object, built and fixed as an immobile part of a theatrical backdrop, the artist brings to the stage the natural and unstoppable perpetual rhythm of life, in which the object becomes the narrating subject.
The observer’s attention experiences a shift from the artistic “product” to the artistic “process” of the slowly transforming flowers that emerges as part of the pre-established movement of the universe and becomes the true subject of the installation. We are far from a contemporary representation of a still life.
We can imagine that the artist wanted to reflect on the common misrecognition that links man to nature, underlining its incessant becoming, the transformation of matter that cannot be managed by any will extraneous to its own laws, visually representing the Nietzschean concept according to which “Nature knows no form or concept, nor any kind, but only an X for us inaccessible and indefinable”
In this sense, Iginio De Luca’s Solarium is a window illuminated on the invisible forces that operate in the visible part of the exposed flowers. This encounter of the artist with nature implies the complete recognition of the free flowing and transforming of matter, of life that does not exclude death, that does not stand at the antipodes of it and that is indeed permeated by this feeling of transience, of finitude.
To the artist “it is up to love the mystery”, writes Rilke again, because art is “love that pours itself out on the mystery”3 and De Luca lets himself be seduced by the disenchanted representation of this movement and its secret ineluctable mechanisms.
There is no break, no passage between a before and an after in this installation of his which also stages the continuous movement that links the origin and the end.
Through a circular feeling of time, which connects life and death as fluid passages of existence, the artist restores this transit in which opposites remain in a state of equilibrium. De Luca does not exhibit the origin and fading of a flower, but “the coincidence of being

Iailat

 

iailat, 2018

Blitz sonoro nei pressi dei seggi elettorali, Roma 4 marzo 2018
a cura di Silvano Manganaro

La mattina di domenica 4 marzo l’Italia si desta… e (almeno in parte) va a votare! Allo stesso modo l’istallazione sonora Iailat pensata da Iginio De Luca per l’Auditorium – Parco della Musica di Roma – esce dal foyer dell’edificio progettato da Renzo Piano per diffondersi nella città, insinuandosi in vie e piazze fino a giungere di fronte ai seggi elettorali. L’intervento che Iginio De Luca, per tutto il mese di febbraio, ha presentato al Sound Corner dell’Auditorium prende una nuova forma, trasformandosi in qualcosa d’altro. Iailat è una traccia sonora dell’inno d’Italia allungata e distorta, una riduzione di velocità dell’80% che rende irriconoscibile il celebre brano scritto da Mameli. Quasi inaspettatamente, nel mese scorso, questo lunghissimo Fratelli d’Italia si è rivelato essere una perfetta metafora del Paese e dell’attuale clima elettorale: la lentezza e la pesantezza di un intero popolo incapace di uscire dalla melma nella quale è finito. Lo stesso titolo (anagramma della parola Italia) si presenta come immagine di una nazione smembrata, divisa e insensata, che diventa altro da sé nel tentativo di darsi una nuova configurazione che sembra, però, non arrivare mai (si è attesa a lungo la nascita di una Seconda Repubblica che, mai compiuta, ci accompagna ad una Terza).
Ed è così che l’istallazione sonora di Iginio De Luca non poteva non trasformarsi in uno dei suoi celebri blitz. Una pratica che l’artista porta avanti da anni: brevi incursioni nello spazio pubblico che diventano agenti provocatori, interventi spot in grado di teatralizzare la nostra storia. Nulla a che vedere con l’idea di attivismo politico… piuttosto una guerriglia culturale, degli interventi flash in grado di concentrare in piccoli e brevi gesti la potenza di un j’accuse che usa l’ironia come strumento principe.
In questo caso un furgone con casse acustiche diffonderà Iailat davanti ai seggi elettorali aperti e, benché Fratelli d’Italia resterà inintelligibile per la totalità delle persone che si recheranno a votare, sarà la colonna sonora perfetta per questa giornata che si presenta – mai come in questo caso – mesta e foriera di cupi scenari.

Silvano Manganaro

 

iailat, 2018

Sound blitz near the polling stations, Rome March 4, 2018
Curated by Silvano Manganaro

On the morning of Sunday, March 4th, Italy wakes up… and (at least in part) goes to vote! Similarly, the sound installation Iailat conceived by Iginio De Luca for the Auditorium Parco della Musica in Rome – exits the foyer of the building designed by Renzo Piano to spread throughout the city, infiltrating streets and squares until reaching the polling stations. The intervention that Iginio De Luca presented at the Sound Corner of the Auditorium throughout the month of February takes on a new form, transforming into something else. Iailat is a sound track of the Italian anthem elongated and distorted, a reduction of speed by 80% that makes the famous piece written by Mameli unrecognizable. Almost unexpectedly, last month, this very long Fratelli d’Italia turned out to be a perfect metaphor for the country and the current electoral climate: the slowness and heaviness of an entire population unable to emerge from the mire it has fallen into. The same title (an anagram of the word Italia) presents itself as an image of a nation dismembered, divided, and senseless, becoming other than itself in the attempt to give itself a new configuration that seems, however, never to arrive (the birth of a Second Republic has long been awaited, never completed, accompanying us to a Third).
And so Iginio De Luca’s sound installation could not fail to transform into one of his famous blitzes. A practice that the artist has been carrying out for years: brief incursions into public space that become provocative agents, spot interventions capable of theatricalizing our history. Nothing to do with the idea of political activism… rather a cultural guerrilla, flash interventions capable of concentrating in small and brief gestures the power of a j’accuse that uses irony as its main tool.
In this case, a van with loudspeakers will broadcast Iailat in front of the open polling stations, and although Fratelli d’Italia will remain unintelligible to the majority of people who will go to vote, it will be the perfect soundtrack for this day that presents itself – never as in this case – sad and foreboding of dark scenarios.

Silvano Manganaro

Riso Amaro

 

Riso Amaro, 2017

Dieci anni di blitz, mostra personale, Albumarte, Roma
14 giugno – 21 luglio 2027
a cura di Claudio Libero Pisano

Chi conosce Iginio De Luca è abituato alla discontinuità, a una poetica sempre volutamente in movimento. La sua produzione riannoda le memorie familiari e le riattraversa senza alcun timore di condividerne anche gli aspetti più intimi ed emotivi. Poi d’un balzo lo ritroviamo a farsi gioco della storia dell’arte e degli artisti in un crescendo d’ilarità e sberleffo.
Tra la poetica intima e quella ilare si collocano i Blitz, un corpo di azioni che attraversa la storia artistica e la vita di Iginio De Luca da oltre dieci anni. Gli argomenti, sempre legati all’attualità politica, sociale o culturale, sono ciò che negli anni ha segnato le incursioni. Non si tratta di semplici gesti goliardici o colpi di teatro superficiali. Nell’urlo e nel grottesco delle sue trovate c’è sempre un invito a riflettere. Anche oltre la risata e il divertimento oggettivo che le sue azioni sollecitano. La leggerezza nel preparare e nell’eseguire i Blitz si accompagna sempre a un contenuto pensato e ragionato con cura. Non è facile trovare dei riferimenti lineari ai Blitz, che hanno un debito con la teatralità del gesto futurista senza mai restare azioni isolate e provocatorie, e rimandano al nonsense dada e alle azioni anarchiche e movimentiste degli anni Sessanta e Settanta. Insomma c’è l’intero Novecento, ma ogni paragone risulta forzato perché Iginio anche nei suoi gesti più politici e nella ricerca sociale più studiata resta consapevolmente un artista. E questo è un dato decisivo nel comprendere questo suo lavoro.
Come in gran parte della tradizione storica il performer, sempre alla ricerca di un legame con l’altro, resta comunque solo; e nel caso dei Blitz ciò che traspare, avendo la possibilità di riattraversarli tutti, è l’estrema solitudine che accompagna l’artista. Anche nelle azioni più leggere e divertenti è evidente un sottotitolo che impone di non fermarsi al gesto che suscita empatia. Vengono presi di mira politici e operatori culturali, ma le domande che i Blitz pongono non sono rivolte a loro. De Luca volge lo sguardo a noi tutti. A noi chiede di sostenerlo, di non diventare le pecore che fuori dal Parlamento indossano i loghi fasulli delle grandi marche.
Riso amaro non ha un andamento cronologico e ciascuno può costruire un suo personale percorso attraverso video, audio, foto e installazioni che formano un unico site specific. Oltre la sequenza dei Blitz, la mostra offre un’occasione per rivedere questi dieci anni attraverso delle opere: dalle incursioni più note a quelle meno conosciute, si può rileggere un pezzo della storia del nostro Paese e constatare che molto di quanto detto e urlato nelle performance dall’artista è ancora tutto lì, che quasi niente è cambiato. Nelle due parole che compongono il titolo della mostra si condensa la poetica che sostiene i Blitz di Iginio De Luca. La risata non sempre è liberatoria, a volte è amara ma necessaria. E non manca la storia del Cinema, che Iginio ha guardato con attenzione e che spesso è entrata nei suoi lavori.
C’è infine un omaggio importante a Libero De Libero, alla sua generazione che ha fatto Cultura con consapevolezza e determinazione partigiana. Un omaggio alla libertà che fa recitare a voce alta un verso, sapendo di essere ascoltati, alla Cultura come azione e idea di cambiamento condiviso.
Incredibilmente è nelle parole di De Libero la chiave per interpretare al meglio i Blitz di oggi di Iginio De Luca.

Claudio Libero Pisano

 

Riso Amaro, 2017

Ten years of blitz, solo exhibition, Albumarte, Rome
June 14 – July 21, 2027
Curated by Claudio Libero Pisano

Those familiar with Iginio De Luca are accustomed to discontinuity, to a deliberately ever-moving poetics. His production reconnects family memories and traverses them without fear of sharing even the most intimate and emotional aspects. Then, in a leap, we find him making fun of art history and artists in a crescendo of hilarity and mockery.
Between intimate and humorous poetics lies the Blitz, a series of actions that have traversed the artistic history and life of Iginio De Luca for over ten years. The themes, always linked to current political, social, or cultural issues, are what have marked these incursions over the years. These are not mere playful gestures or superficial theatrics. In the scream and grotesque of his antics, there is always an invitation to reflect, even beyond the laughter and objective amusement his actions provoke. The lightness in preparing and executing the Blitz is always accompanied by content that is carefully thought out and reasoned. It is not easy to find linear references to the Blitz, which owe a debt to the theatricality of Futurist gestures without ever remaining isolated and provocative actions, and they evoke Dada nonsense and the anarchic and movement-oriented actions of the 1960s and 1970s. In short, the entire twentieth century is present, but any comparison is forced because Iginio, even in his most political gestures and in the most studied social research, remains consciously an artist. And this is a crucial aspect in understanding his work.
As in much of the historical tradition, the performer, always seeking a connection with the other, remains alone; and in the case of the Blitz, what becomes evident, having the opportunity to revisit them all, is the extreme loneliness that accompanies the artist. Even in the lightest and most entertaining actions, there is an underlying message that urges us not to stop at the gesture that elicits empathy. Politicians and cultural operators are targeted, but the questions posed by the Blitz are not directed at them. De Luca turns his gaze to all of us. He asks us to support him, not to become the sheep outside Parliament wearing fake logos of big brands.
‘Bitter Laughter’ does not follow a chronological order, and each visitor can construct their own personal journey through videos, audio, photos, and installations that form a unique site-specific experience. Beyond the sequence of the Blitz, the exhibition offers an opportunity to revisit these ten years through artworks: from the more well-known incursions to the lesser-known ones, one can retrace a piece of our country’s history and realize that much of what the artist has said and shouted in his performances is still there, that almost nothing has changed.
In the two words that make up the title of the exhibition, the poetics that underlie Iginio De Luca’s Blitz condenses. Laughter is not always liberating; sometimes, it is bitter but necessary. And the history of cinema is not overlooked, something Iginio has carefully observed and often incorporated into his works.
Finally, there is an important tribute to Libero De Libero, to his generation that made Culture with awareness and partisan determination. A tribute to freedom that recites a verse out loud, knowing it is being listened to, to Culture as an action and idea of shared change.
Incredibly, it is in De Libero’s words that we find the key to interpreting Iginio De Luca’s Blitz today.

Claudio Libero Pisano

Sotto / Sale

 

Sotto/Sale, 2017

Installazione sonora
Progetto speciale per Apulia Land Art Festival, Margherita di Savoia (BT)
A cura di Helia Hamedani e Gianni Piacentini

“La storia è una protesta contro l’oblio” (Eric Hobsbawm)

Sono stato a Margherita di Savoia ad agosto del 2017, invitato dall’Apulia Land Art Festival per realizzare un progetto speciale, specifico per il luogo. In quei giorni nella cittadina si festeggiava il Santissimo Sacramento e per le vie c’era tanta gente, corridoi di luminarie a perdita d’occhio e bancarelle in grande spolvero. La quantità di persone presenti all’evento faceva da contraltare alla loro totale assenza poco più a fianco della festa: nelle saline, metafisiche e silenziose, risuonava la città chiassosa e vitale in un fronteggiamento spaziale e simbolico. L’idea nasce in quel momento: riunire in un’installazione sonora, poco invasiva e indolore, le due anime del luogo, le storie delle persone, quotidiane e private e quelle delle saline, proletarie e pubbliche; la dimensione affettiva, intima e quella sociale, lavorativa.
L’espressione “sotto sale”, intesa come prima forma di conservazione degli alimenti, è assunta qui letteralmente come concetto altamente simbolico e diventa una sorta di utopia dell’eternità. Dalla spessa coltre di sale escono otto cuffie contenenti le memorie delle persone intervistate: otto come l’ottagono di Castel del Monte, simbolo della Puglia, riproposto in una mappatura casuale della geometria storica. Ogni cuffia racconta ciò che le persone hanno voluto conservare, congelare, sottrarre all’oblio del tempo, tante memorie affettive custodite preziosamente nelle saline di Puglia, luogo di contemplazione sublime che trattiene, sedimentandole, le vite di un popolo, di un’intera città. Ogni cavo delle cuffie è pari all’altezza del narratore intervistato da terra all’orecchio. In tal modo chi ascolta è invitato a identificarsi fisicamente ed emozionalmente con chi racconta in un contesto attivo e pulsante, costantemente vivo nel presente.

Sotto/Sale, 2017

Sound installation
Special project for Apulia Land Art Festival, Margherita di Savoia (BT)
Curated by Helia Hamedani and Gianni Piacentini

“History is a protest against oblivion.” – Eric Hobsbawm

I went to Margherita of Savoia in 2017, invited by Apulia Land Art Festival, to produce a site-specific project. During my visit, the city was celebrating Saint Sacramento, and in the streets, there were many people, plenty of lights’ corridors and market stalls. The number of people taking part in the event contrasted
with their complete absence just a few metres down the road: in the salt march, silent and metaphysical, the city’s noise resonates, creating a symbolic and spatial opposition. The idea came at that moment: the aim was to reunite, through a non-invasive sound installation, the two souls of the place, the people’s stories, ordinary and private, and one of the salt marsh, proletarians and public; the affective, intimate and social, and the labour dimensions. The expression “sotto sale” (under salt), as a primary form of food’s pickling, is used here literally as a symbolic idea for eternity. From the thick layer of salt, eight headphones emerged, transmitting the memories of the people interviewed: eight as the octagon of the Castle of Monte, the symbol of Puglia. From each headphone, it is possible to listen to the story of what each person has decided to preserve, to store, to take away from the oblivion of time. Many emotional memories kept safe in the salt marsh of Puglia, a place of sublime contemplation that holds and sediment the lives of a country and its city. Each of the headphone cables measures the same as the height of the person interviewed from the ground to the ear. Therefore, the person listening is encouraged to identify physically and emotionally with the storyteller in a dynamic atmosphere kept alive in the present.

MAXXI COMA

 

MAXXI COMA

Proiezione del trailer del documentario “Girlfriend in a Coma” di Bill Emmott e Annalisa Piras sulle pareti esterne del MAXXI
Roma, 13 febbraio 2013

La libertà di espressione è in coma, l’arte è in coma, le istituzioni sono in coma, il rispetto delle regole è in coma, godono invece di ottima salute le strategie della politica, l’ipocrisia della par-condicio, l‘arroganza del potere in tutte le sue declinazioni.
L’esempio del MAXXI, e in particolare della Melandri che ha censurato la proiezione, ci illustra come questo clima di totale impasse politica e culturale ci paralizzi fin nel profondo.

 

MAXXI COMA

Projection of the trailer of the documentary “Girlfriend in a Coma” by Bill Emmott and Annalisa Piras on the outer walls of MAXXI
Rome, February 13, 2013

Freedom of expression is in a coma, art is in a coma, institutions are in a coma, respect for rules is in a coma; meanwhile, the strategies of politics thrive, the hypocrisy of parity reigns, and the arrogance of power in all its forms remains robust.
The example of MAXXI, particularly the case of Melandri who censored the projection, illustrates how this climate of total political and cultural deadlock paralyzes us to our core.

Oplà siamo arrivati

Oplà siamo arrivati, 2014

Video HD, 16:9, colore, sonoro, durata: 38’34’’

Il video affida a un’altra persona, Gabriele De Luca, mio cugino di primo grado, il compito di raccontare e custodire l’intera memoria delle famiglie De Luca/Rossetti, rispettivamente di mio padre e di mia madre. La narrazione è discorsiva, lineare e rievoca in chiave ironica tutti i piccoli aneddoti accaduti negli anni passati. Questo lavoro per me è una sorta di congedo dal tema del privato e della famiglia, tema che ho portato avanti per tanti anni. Affido a qualcun’altro il ruolo di protagonista facendomi da parte, diventando spettatore della mia storia, come tutti gli altri.

 

Oplà siamo arrivati, 2014

Video HD, 16:9, color, sound, duration: 38’34’’

The video gives to another person, Gabriele De Luca, my cousin, the task of telling and preserving the entire memory of the families De Luca/Rossetti, respectively my father and my mother. The narration is discursive, linear and evokes, in ironical key, all the little anecdotes happened in the past years. This artwork is for me a kind of farewell to the themes of private life and family, themes that I have pursued for many years. I entrust the leading role to someone else stepping aside, becoming the audience of my story, like everyone else.

Lacreme napulitane

Lacreme napulitane, 2008,

Video Pal, 4:3, colore, sonoro, durata: 3’01’’

Un pupazzo gonfiabile animato da un getto d’aria e la canzone di Mario Merola che sembra ne detti i movimenti. Il titolo sottolinea malinconicamente una serie di luoghi comuni del sud Italia: la povertà, l’emigrazione, la nostalgia, la sofferenza, Il personaggio, dagli andamenti ondulatori e melodrammatici, amplifica sarcasticamente il tono della canzone, ispirata alla migliore tradizione della sceneggiata napoletana.

 

Lacreme napulitane, 2008,

Video Pal, 4:3, color, sound, duration: 3’01’’

The inflatable puppet animated by a jet of air and Mario Merola’s song that seems to make it moving. The title underlines melancholically a series of stereotypes about the South of Italy: the poverty, the migration, the nostalgia, the sufferance. The character, with wavy and melodramatic movements, amplifies ironically the tone of the song, inspired by the best traditional Neapolitan drama.

Mima l’arte

 

Live performance di “Mima l’arte” con Franco Speroni, IgiBlek, Pilu e MaxVonSidol
Domenica 13 Aprile 2014, Galleria Porta Latina

Habemus Planetarium

 

Habemus Planetarium

blitz per la riapertura del Planetario – 28 Gennaio 2016, Roma

A quanto pare neppure il Giubileo Straordinario della Misericordia indetto da Papa Francesco ha sortito l’effetto di far riaprire “straordinariamente” i due Musei della Civiltà Romana e il Planetario, chiusi il 27 gennaio del 2014. Due anni fa l’ex Sindaco Marino ne decise infatti la chiusura, motivandola con la necessità di velocizzare alcuni lavori di “riqualificazione” all’interno delle due strutture. La gara per i lavori fu pubblicata lo stesso anno, ma ad oggi, dei lavori da effettuare non risulta ancora traccia e i musei sono di fatto ancora chiusi. A quanto pare il bando per l’affidamento dei lavori sembra sia stato ulteriormente rallentato dalle indagini di Mafia Capitale.
Sulla questione, il 27 gennaio 2016, è intervenuto con un altro dei suoi celebri e provocatori blitz, l’artista Iginio De Luca, che questa volta ha dovuto scomodare il Papa per far aprire la “Porta Santa” del Museo della Museo della Civiltà Romana, sede del Planetario e Museo Astronomico di Roma, rievocando le aperture delle porte delle grandi basiliche.
De Luca denuncia l’abbandono totale di questo sito caduto in balia delle “variabili cataclismiche e schizofreniche delle galassie burocratiche”, tra gli infiniti ricorsi al TAR e al Consiglio di Stato. Prima Ignazio Marino che chiuse la sede, poi Claudio Parisi Presicce, Sovrintendente capitolino ai beni culturali e infine il Commissario Tronca, tutte nuove stelle (de)cadenti, secondo l’autore, che hanno segnato il firmamento politico romano, pur non facendo nulla per sbloccare la situazione, “quasi la materia oscura che pervade la burocrazia italiana – spiega l’artista – altro non sia come un brodo primordiale che tutto ingoia e niente risolve”.
“Per questo – prosegue ancora De Luca – brancolando nel buco nero della politica romana, vittime del vuoto decisionale della Costellazione degli inetti, non resta che affidarci alla Misericordia di Papa Francesco. Forse solo grazie alla sua intercessione divina potremo sperare nel miracolo gridando finalmente: ‘Habemus Planetarium’!”.

 

Habemus Planetarium

blitz for the reopening of the Planetarium – January 28, 2016, Rome

It seems that not even the Extraordinary Jubilee of Mercy proclaimed by Pope Francis had the effect of “extraordinarily” reopening the two Museums of Roman Civilization and the Planetarium, closed on January 27, 2014. Two years ago, former Mayor Marino decided to close them, citing the need to speed up some “redevelopment” works within the two structures. The tender for the works was published the same year, but to date, there is still no trace of the work to be done, and the museums are effectively still closed. Apparently, the tender for the awarding of the works seems to have been further delayed by the investigations of Mafia Capitale.
On the matter, on January 27, 2016, artist Iginio De Luca intervened with another of his famous and provocative blitzes, this time having to invoke the Pope to open the “Holy Door” of the Museum of Roman Civilization, home to the Planetarium and Astronomical Museum of Rome, evoking the openings of the doors of the great basilicas. De Luca denounces the total neglect of this site, which has fallen prey to the “cataclysmic and schizophrenic variables of bureaucratic galaxies,” among the endless appeals to the TAR and the Council of State. First Ignazio Marino, who closed the headquarters, then Claudio Parisi Presicce, Capitol Superintendent for cultural heritage, and finally Commissioner Tronca, all new (de)cadent stars, according to the author, who have marked the Roman political firmament, yet doing nothing to unlock the situation, “as if the dark matter pervading Italian bureaucracy were nothing more than a primordial broth that swallows everything and solves nothing.”
“For this reason,” De Luca continues, “fumbling in the black hole of Roman politics, victims of the decision-making void of the constellation of the inept, there is nothing left but to rely on the Mercy of Pope Francis. Perhaps only thanks to his divine intercession can we hope for the miracle, finally shouting: ‘Habemus Planetarium!'”

Impara l’arte e non metterla da parte

 

Impara l’arte e non metterla da parte

Blitz artistico sulle scale del Ministero della Pubblica Istruzione
Venerdì 30 ottobre 2015 – Viale Trastevere, 76 Roma
Lezione di storia dell’arte atipica, ironica e pubblica in dedica al Ministro della Pubblica Istruzione On.le Stefania Giannini
Lettore: Sabrina Vedovotto, critico d’arte
Performer: Iginio De Luca e Massimo Arduini, artisti, docenti di Accademia, Giovanni Zappalorto, musicista, attore

Che cosa succede quando l’Arte viene messa letteralmente da parte? A spiegarlo saranno Sabrina Vedovotto, critico d’arte e tre performer: Iginio De Luca, Massimo Arduini e Giovanni Zappalorto, rispettivamente due docenti di Accademia e un attore musicista che, in modo ironico e dissacratorio, hanno giochato a mimare i nomi degli artisti in un’ideale lezione che si è tenuta sulle scale del Ministero della Pubblica Istruzione. La lezione è stata un viaggio nella storia dell’arte di tutti i tempi e vuole richiamare l’attenzione sulla grave situazione in cui versano le Accademie di Belle Arti italiane. Numerose le persone che si sono soffermate ad ascoltare e a guardare i “mimi”.
L’iniziativa è nata dopo che il 17 settembre scorso è stato pubblicato un decreto a firma del Presidente del Consiglio dei Ministri, relativo alla mobilità intercompartimentale dei dipendenti della Pubblica Amministrazione. In questo decreto i docenti delle Accademie sono collocati nell’area III F1, ovvero equiparati a professori di scuola media e liceo, al pari inoltre del livello più basso dei funzionari delle Sovrintendenze. Escludendole definitivamente dalle qualifiche accademiche e universitarie. A ciò si aggiunge la notizia di un imminente e definitivo inserimento del personale docente delle Accademie nel comparto di contrattazione sindacale della Scuola. È davvero paradossale che l’Italia, il paese che ha inventato le Accademie alla fine del Cinquecento, esportandone ovunque il modello formativo nel campo delle Arti, sia il paese che più le mortifica.

 

Impara l’arte e non metterla da parte

Artistic Blitz on the Stairs of the Ministry of Public Education
Friday, October 30, 2015 – Viale Trastevere, 76 Rome
An unconventional, ironic, and public art history lesson dedicated to the Minister of Public Education Honorable Stefania Giannini
Lecturer: Sabrina Vedovotto, art critic
Performers: Iginio De Luca and Massimo Arduini, artists and academy professors, Giovanni Zappalorto, musician, actor

What happens when art is literally set aside? Explaining this will be Sabrina Vedovotto, an art critic, along with three performers: Iginio De Luca, Massimo Arduini, and Giovanni Zappalorto, respectively two academy professors and a musician-actor. In a playful and irreverent manner, they mimicked the names of artists in an imaginary lesson held on the stairs of the Ministry of Public Education. The lesson was a journey through the history of art of all times and aimed to draw attention to the serious situation of Italian Fine Arts Academies. Many people stopped to listen and watch the “mimes.”
The initiative arose after a decree was published on September 17th, relating to the interdepartmental mobility of Public Administration employees. In this decree, academy professors are placed in area III F1, equating them with middle and high school teachers, and also with the lowest level of Superintendence officials. This definitively excludes them from academic and university qualifications. Additionally, there is news of an imminent and definitive inclusion of academy teaching staff in the union bargaining sector of schools. It is truly paradoxical that Italy, the country that invented academies in the late sixteenth century, spreading their educational model in the field of arts everywhere, is the country that most humiliates them.

Venghino, signori venghino

 

 

Venghino, siori venghino, 2016

Blitz del 25 novembre di fronte la Galleria Nazionale, Roma
Due manifesti su camion a “vela” itinerante, audio con megafono

Il 19 novembre nella trasmissione di Maria De Filippi “Tu si que vales” in onda in prima serata su Canale 5 l’artista Paco Cao e la Direttrice della Galleria Nazionale di Roma Cristiana Collu, promuovono un imbarazzante concorso di bellezza, il Museum Beauty Contest, candidando settanta opere della collezione. Equamente divise tra soggetti maschili e femminili, i ritratti sono confidenzialmente titolati con i nomi dei soggetti raffigurati, quasi fossero nostri parenti o amici della porta accanto. E’ l’ultima mossa della Direttrice che, dalla sua nomina, sta tentando di rinnovare fisicamente e mediaticamente la funzione di un’Istituzione così importante. I concetti che più si affiancano a questo rinnovamento, sono apertura, svecchiamento, rivoluzione e democrazia. Già nell’azzeramento cronologico e cromatico delle sale si paventa il rischio di un appiattimento che uniforma l’allestimento divenendo più la regola che la novità; ora nella trasmissione della De Filippi c’è l’apparizione coatta e mortificante su cavalletti di sei delle settanta opere candidate che così mostrate, come nelle migliori televendite degli anni ’80 (parodiate anche dal famoso Guzzanti/Mutandari), sottraggono volgarmente ogni dignità e prestigio agli artisti nominati, riducendoli a squallida merce, iconografia da “Telemarket” nel sipario dei set di pentole di berlusconiana memoria. La democratica strategia avviata dalla Direttrice sta rottamando la Galleria verso una caduta di stile che, grazie alla maldestra e superficiale gestione, si sta piegando al consenso indistinto e al denaro.
Come fossi un venditore ambulante di merci all’ingrosso, salgo sul camion che monta l’immagine della trasmissione della De Filippi con tanto di logo “Telemarket” sovrapposto e imbraccio il megafono elencando tutte le opere candidate al concorso, senza dimenticare di intonare ogni tanto il popolare richiamo che sembra calzare a pennello per la nuova strategia della Collu: “venghino siori venghino”!
In tempi di votazione e di schieramenti costituzionali sul crinale del SI e del NO, dico SI alla cultura e all’intelligenza di chi la gestisce, NO alle scorciatoie di facili e dozzinali trovate.

 

Venghino, siori venghino, 2016

Blitz on November 25 in front of the National Gallery, Rome.
Two posters on a traveling ‘sail’ truck, audio with a megaphone.

On November 19, in Maria De Filippi’s show ‘Tu si que vales,’ airing in prime time on Canale 5, artist Paco Cao and the Director of the National Gallery of Rome, Cristiana Collu, promote an embarrassing beauty contest, the Museum Beauty Contest, nominating seventy works from the collection. Equally divided between male and female subjects, the portraits are confidentially titled with the names of the depicted subjects, as if they were our relatives or next-door friends. It is the latest move by the Director, who, since her appointment, has been trying to physically and mediatically renew the function of such an important institution. The concepts that most accompany this renewal are openness, rejuvenation, revolution, and democracy. Already in the chronological and chromatic resetting of the rooms, there is a risk of a flattening that standardizes the setup, becoming more the rule than the novelty. Now, in De Filippi’s show, there is the forced and humiliating appearance on easels of six of the seventy nominated works, which, when shown in this manner, as in the best teleshopping of the 1980s (also parodied by the famous Guzzanti/Mutandari), vulgarly strip away any dignity and prestige from the named artists, reducing them to sordid merchandise, iconography from the ‘Telemarket’ in the backdrop of the pots and pans sets of Berlusconi-era memory. The democratic strategy initiated by the Director is scrapping the Gallery towards a loss of style that, thanks to clumsy and superficial management, is bending to indiscriminate consensus and money. Like a street vendor of wholesale goods, I climb onto the truck that displays the image of De Filippi’s show with the ‘Telemarket’ logo overlaid and grab the megaphone, listing all the works nominated for the contest, not forgetting to occasionally sing the popular call that seems to fit perfectly with Collu’s new strategy: ‘venghino siori venghino’ (come in, gentlemen, come in)! In times of voting and constitutional alignments on the crest of YES and NO, I say YES to culture and the intelligence of those who manage it, NO to shortcuts of easy and tacky ideas.

 

Expatrie

 

 

Installazione Casa dell’Architettura – Roma, 2016

 

Catalogo

Expatrie, 2016

Mostra personale, Casa dell’Architettura, Roma
1-26 Luglio 2016
A cura di Giorgio de Finis

Expatrie è il frutto di un progetto artistico nato e sviluppato all’interno del contesto di Metropoliz, spazi domestici ricavati e occupati da famiglie di varie nazionalità all’interno dell’ex fabbrica Fiorucci a Roma. Il lavoro prodotto ruota attorno al tema dell’abitare, toccando storie familiari e storie nazionali, storie di immigrazione e disagio, d’integrazione e protesta sociale, condizioni precarie di vita ai margini della società, in bilico tra legalità e illegalità.
Penso a quanto sia cruciale il tema dell’abitare e quante metafore sviluppi: lo spazio domestico è anche una questione politica oltre che privata, di responsabilità nazionale perché parla di rifugi, di asili contro la fame, di viaggi, di perdita di certezze e di avventure verso l’ignoto. Da qui il titolo “Expatrie” (dal francese “expatrié”: espatriato), ma anche patrie che non sono più perché non trattengono e non accolgono. La storia soggettiva si intreccia alla storia collettiva, storia di confini, contesti di transito in perenne sospensione in un cortocircuito simbolico tra privato e pubblico, tra casa e nazione.
Quasi a giocarmi un blitz da solo, ho aggiunto distanza tra me e il mio lavoro iniziando ad operare in un contesto non familiare che mi dichiarava estraneo, un rifugiato in terra straniera.
Al limite tra azione performativa e gesto di pubblica utilità comincio a misurare gli interni domestici. Come un geometra del catasto, metro estraibile alla mano, traccio con carta e matita l’identikit di 17 case mai viste in scala, neanche dagli stessi abitanti, rendendo ufficiale qualcosa che ufficiale non è. Intanto faccio foto di gruppo alle 17 famiglie che incontro e trasporto le planimetrie ricavate su fogli di poliestere opalino intagliati secondo lo schema architettonico. Sovrapponendole ai ritratti fotografici, permetto una lettura parziale che delega alle parti asportate in poliestere il compito di concedere la visione. La casa diventa griglia formale e simbolica che inquadra i volti, le figure, diviene salvezza e prigionia, costrizione e rifugio, emblema di resistenza e dignità sociale. Un modo per stare sul “rovescio delle immagini” per dirla con Michel Leiris e rivelare un’identità architettonica della persona oltre a quella somatica, un tracciato geometrico antropomorfo, pareti trasformate in spugne visive, contenitori di vita domestica e di memorie personali.
A fine mappatura ad ogni famiglia ho dato la possibilità di aggiungere alla casa esistente uno spazio in più da immaginare, la “stanza dei sogni” che ho fedelmente riportato sulla pianta reale; è lo spazio irrazionale del desiderio, la capacità visionaria dell’uomo di scavalcare i limiti e andare oltre.
Le soglie che ho varcato e le persone che ho conosciuto sono diventate occasioni di viaggi insperati; latitudini e fusi orari condensati in pochi metri, un jet lag da cortile che di porta in porta cambiava le coordinate temporali, geografiche ed emozionali.
Di queste case a tempo determinato mi rimangono gli arredi scarni ed essenziali, gli odori acri e dolci degli armadi stracolmi, i colori acidi delle mattonelle segnate e quelli caldi degli intonaci, le diffidenze iniziali, il pudore delle donne, gli sguardi sospetti, ruvidi e poi distesi, la dignità dei sorrisi accoglienti, le montagne di giocattoli, la curiosità dei bambini che sguazzano nelle piscine prefabbricate, vecchie fotografie e cartoline, nostalgie magnetiche appese ai frigoriferi, i suoni familiari dei pranzi nei cortili, il fruscio di lenzuola, le poche risate e le preghiere, ma anche i suoni distanti e i luoghi misteriosi delle famiglie che si sono negate.
Il mio desiderio è che i lavori prodotti traducano i punti di vista locali in un linguaggio universale trasformando questi aspetti difficili e problematici in una visione poetica, sospesa, dispiegando un’altra logica dello sguardo. Lancio la sfida per vedere in che modo l’arte possa innestarsi sulle questioni politiche e sociali e non tradirsi, come quando Alfredo Jarr crea un’opera sui desaparecidos di Pinochet o Ai Weiwei profana con colori moderni vasi antichi della dinastia Han.
L’ultima parola la lascio al silenzio delle immagini e a quel tanto che sfugge al controllo e alla volontà dell’intenzione.

Iginio De Luca

 

Expatrie, 2016

Personal exhibition, Casa dell’Architettura, Rome
1-26 July 2016
Curated by Giorgio de Finis

Expatrie” is the outcome of an artistic project conceived and developed within the context of Metropoliz, domestic spaces carved out and occupied by families of various nationalities within the former Fiorucci factory in Rome. The work revolves around the theme of dwelling, delving into both family and national narratives, stories of immigration and hardship, of integration and social protest, and precarious living conditions on the fringes of society, teetering between legality and illegality.
Reflecting on the crucial nature of the theme of dwelling and the myriad metaphors it unfolds: the domestic space becomes a political as well as a private matter, a national responsibility, as it speaks of refuges, havens against hunger, journeys, loss of certainties, and adventures into the unknown. Hence the title “Expatrie” (from the French “expatrié”: expatriate), signifying both those who have left their homeland and homelands that are no longer such because they neither retain nor welcome. The subjective story intertwines with the collective narrative, a tale of borders, transient contexts perennially suspended in a symbolic short circuit between private and public, home and nation.
Almost playing a solo blitz, I introduced distance between myself and my work by operating in an unfamiliar context that declared me an outsider, a refugee in a foreign land. Teetering on the edge between performative action and an act of public utility, I began measuring the interiors of homes. Like a cadastral surveyor, with a retractable meter in hand, I sketched the identikit of 17 houses never seen before, not even by their inhabitants, making official something that isn’t official. Meanwhile, I took group photos of the 17 families I encountered and transposed the floor plans onto sheets of opaline polyester cut according to the architectural schema. By overlaying them on photographic portraits, I enable a partial reading that delegates to the polyester-removed parts the task of granting vision. The house becomes a formal and symbolic grid framing faces and figures, serving as both salvation and imprisonment, constraint and refuge, an emblem of resistance and social dignity. A way to dwell on the “reverse side of images,” to borrow from Michel Leiris, revealing an architectural identity beyond the somatic, a geometric anthropomorphic trajectory, walls transformed into visual sponges, containers of domestic life and personal memories.
After mapping each family, I gave them the opportunity to add an additional space to their existing homes, the “room of dreams,” faithfully depicted on the actual floor plan; it is the irrational space of desire, the visionary capacity of humans to surpass limits and go beyond. The thresholds I crossed and the people I met became opportunities for unexpected journeys; latitudes and time zones condensed into a few meters, a courtyard jet lag that, from door to door, changed temporal, geographical, and emotional coordinates.
Of these temporary homes, I retain the sparse and essential furnishings, the acrid and sweet scents of overflowing wardrobes, the acidic colors of marked tiles and the warm hues of plasters, initial suspicions, the modesty of women, the skeptical and then relaxed glances, the dignity of welcoming smiles, mountains of toys, the curiosity of children splashing in prefab pools, old photographs and postcards, magnetic nostalgias hanging on refrigerators, familiar sounds of lunches in the courtyards, the rustling of sheets, a few laughs and prayers, but also distant sounds and mysterious places of families that have denied themselves.
My desire is for the works produced to translate local perspectives into a universal language, transforming these challenging and problematic aspects into a suspended, poetic vision, deploying another logic of gaze. I pose the challenge of seeing how art can intersect with political and social issues without betraying itself, as when Alfredo Jaar creates a work on Pinochet’s desaparecidos or Ai Weiwei profanes ancient Han dynasty vases with modern colors.
I leave the last word to the silence of images and to that which eludes the control and will of intention.

Iginio De Luca

Convention

Convention, 2010

Video 16:9, colore, sonoro, durata: 1’49’’

L’esordio del video è istituzionale e patriottico; la bandiera italiana sventola e l’inno è trionfale. L’inquadratura si allarga e nel campo entrano via via più bandiere e più inni nazionali in corrispondenza. Sotto l’immagine compare l’insegna di un bar tabacchi. La musica diventa caotica, ormai non si distinguono più le singole melodie, regna il caos sonoro. Così il senso istituzionale e ufficiale è totalmente stravolto e quello che era l’inizio ora non è certo la fine.

 

Convention, 2010

Video 16:9, color, sound, duration: 1’49’’

The debut of the video is institutional and patriotic; the Italian flag flutters and the national anthem is triumphant. The shot becomes wider and, gradually, more and more flags enter and, in correspondence, more national anthems. At the bottom of the video appears a sign of Tobacchi Bar. The music becomes chaotic, and now the single melodies are no longer distinguished and, the sound of chaos reigns. And so the official and institutional sense is completely twisted and, what it was the beginning is now for sure not the end.

Solarium

Solarium, 2015

Video HD, 16:9, colore, sonoro, durata: 9’13’’

Il video insiste frontalmente su una sola immagine, immobile e sospesa o impercettibilmente transitoria, in cui convivono sublimità e banalità, fasto e desolazione, bellezza e disfacimento, naturalità e messa in scena. Fotogrammi di una realtà fittizia, accattivante e perfino patinata, esposta 24 ore su 24 in composizioni ordinate alla luce artificiale che esalta i colori e le forme e cela in una reiterata sospensione temporale l’inevitabile decomposizione. Attraverso un semplicissimo meccanismo audio, il video si alterna continuamente tra stasi e dinamismo, tra passività e movimento, tra vita e morte. Ogni volta che un elemento attraversa la telecamera il sonoro del contesto entra in azione per sparire nel momento in cui il dispositivo esce di scena: una macchina, un passante, una bicicletta, un motorino, tutti pretesti di attivazione acustica che svelano l’immagine filmata rispetto a quella fotografica che si percepisce nel momento in cui non succede niente e tutto è fermo. Il lavoro mette in atto una riflessione sull’ambiguità della percezione che trasforma la banalità del quotidiano nell’intera metafora dell’esistenza.

 

Solarium, 2015

Video HD, 16:9, color, sound, duration: 9’13’’

The video focuses on a single frontal image, motionless and suspended or imperceptibly in transitory, in which coexist sublimity and triviality , pomp and desolation, beauty and decay, naturalness and staging. Frames of a fictitious reality, eye-catching and even glossy, exposed 24 hours to the artificial light which highlights the colours and the shapes and conceals in a repeated temporal suspension with the inevitable decomposition. Using a simple audio technique, the video alternates continuously stasis and dynamism, from static to movement, from life to death. Each time that an element comes through the camera the sound of the context gets in action to then disappears when the mechanism get out of the scene: a car, a passer-by, a bicycle, a motor scooter, all excuse to activate the sound which reveals the recorded images in contrast to the photographic one which is perceived only when nothing happens and everything is still. The work instigates a reflection on the ambiguity of perception which transforms the banality of the everyday life into the metaphor of existence.

Autovelux

Autovelux, 2013

Video HD, 16:9, colore, sonoro, durata: 1’50’’

Dal buio compatto emergono lentamente forme astratte di luce. I suoni, anch’essi poco identificabili, amplificano il carattere misterioso del video. La luce comincia sempre più a svelare qualcosa: una strada che attraversa un paesaggio rurale di montagna. La tensione sonora cresce, ne amplifica l’attesa fino a che una macchina irrompe da destra e scompare velocemente dietro a un albero, azzerando di colpo tutte le ambiguità iniziali.

 

Autovelux, 2013

Video HD, 16:9, color, sound, duration: 1’50’’

From the dark emerges slowly abstract shapes of light. The sounds, which are also not recognisable, amplifies the mysterious atmosphere of the video. The light starts to reveal bit by bit something: a road that crosses a rural landscape in the mountain. The sound tension builds up, it amplifies the waiting until a car suddenly breaks in from the right and then disappear quickly behind a tree, and suddenly reset all the initial ambition.

Gemelli d’Italia

Gemelli d‘Italia, 2009-2019

Video HD, 16:9, colore, sonoro, durata: 1’27’’

Gli scambi striduli e fastidiosi di tre personaggi surreali; tre inquietanti “gemelli” che con i loro dialoghi isterici si lanciano suoni, sovrapponendosi l’uno con l’altro. Metafora di molte Italie che non comunicano perché non si ascoltano, il video visualizza la dimensione grottesca di una nazione e di un popolo dalle tante anime.

 

Gemelli d‘Italia, 2009-2019

Video HD, 16:9, color, sound, duration: 1’27’’

The shrill and annoying exchanges of three surreal characters; three frightening “twins” that with their hysterical dialoguesthrow sounds to each other, overlapping one with the others. A metaphor of many Italy that do not communicate because they do not listen to each other, the video represents the grotesque dimension of a nation and its people with many souls.

Expatrie – Bo_cs Art

 

 

Expatrie Bo_cs Art, 2015

Residenza d’artista a Cosenza,
a cura di Alberto Dambruoso

Dal 5 al 19 settembre 2015, per volontà del Sindaco Mario Occhiuto e del curatore Alberto Dambruoso, si è svolta la terza puntata del progetto residenze artistiche a Cosenza 2015. Sfida, la loro, coraggiosa e al contempo rischiosa, dirottare gran parte dell’arte contemporanea italiana e non solo, in un luogo denso di stereotipi, il sud Italia, e per giunta la Calabria. L’intento virtuoso del progetto è proprio quello di avviare una dimensione di scambio reciproco tra due mondi apparentemente distanti: il mondo creativo e visionario e quello quotidiano, della gente “normale”. Anche io, arrivato a Cosenza il 4 settembre con gli artisti Piotr Hanzelewicz e Teresa Iaria e insediatomi in uno dei 30 alloggi-studi costruiti per l’occasione, mi sono subito posto il problema: come interagire con il luogo e con le persone che lo abitano? Ma soprattutto, ha senso un incontro tra noi e gli abitanti di Cosenza? La domenica successiva visito un piccolo borgo della provincia di Cosenza, Pantanolungo: qui la mia attenzione è richiamata da una bandiera dell’Italia collocata sopra e sulla stessa asta di quella del Canada. Chiesto il motivo di tale accostamento, ho saputo che ogni anno una comunità di cittadini calabresi emigrati in Canada torna per una breve villeggiatura. Ho quindi deciso di produrre subito un video con le due bandiere che dialogano tra loro nel vento, una sorta di danza muta pseudo-istituzionale. La presenza di queste due bandiere evoca una serie di considerazioni: la dipendenza dalla terra d’origine, il rapporto di mutuo soccorso che c’è tra i due stati, le tradizioni e le sofferenze di due popoli, di due culture diverse.
Dopo qualche comprensibile scetticismo, parlo con alcune di queste famiglie. La loro è la storia di tanti italiani che hanno cambiato paese e vissuto per decenni lontano dalle proprie radici. Penso a quanto sia cruciale il tema dell’abitare e quante metafore sviluppi sul piatto delle riflessioni: Lo spazio domestico è anche una questione politica oltre che privata, di responsabilità nazionali perché parla di rifugi, di asili contro la fame, di viaggi, di perdita di certezze e di avventure verso l’ignoto. Concetti che non cambiano, oggi come allora, pur spostando i soggetti e mutando le rotte. Dopo qualche giorno ritorno sul luogo del “delitto” e interagisco con una famiglia in particolare, scattando ritratti fotografici e misurando l’interno della loro casa. In seguito mi raccontano lo spazio domestico canadese e insieme e a memoria ricostruiamo l’identikit di una casa a distanza. Le due planimetrie ricavate sono poi trasposte su fogli di poliestere opalino intagliati secondo lo schema architettonico e sovrapposti alle fotografie fatte in precedenza, permettendo una lettura parziale che lascia intravedere proprio nell’atto di escludere. La griglia planimetrica in questo caso simboleggia liberazione e prigionia al contempo, la loro storia in pratica. Infine, inseguendo gli stessi schemi planimetrici, ho tagliato e disposto a terra nel box le due bandiere uguali a quelle del video, a simboleggiare un cortocircuito visivo tra privato e pubblico, tra casa e nazione. Da qui il titolo “Expatrie” (dal francese “expatrié”: espatriato), ma anche patrie che non sono più perché non trattengono e non accolgono. La storia umana e soggettiva si intreccia alla storia collettiva, storia di confini, contesti di transito in perenne sospensione.
Per due settimane io e gli altri 19 artisti siamo stati abitanti di un luogo deputato alla creatività che ha cercato di sfatare un altro luogo, quello “comune” dell’arte contemporanea distante dalla realtà e da tutte le sue urgenze. Per me questo tentativo ha avuto senso, credo anche per la famiglia che mi ha regalato la sua storia e per chi il 18 settembre è passato a trovarci lungo il fiume Crati, sul viale degli artisti, nella mia casa a tempo determinato.

 

Expatrie Bo_cs Art, 2015

Artist residency in Cosenza
curated by Alberto Dambruoso

From September 5 to 19, by the will of Mayor Occhiuto and curator Alberto Dambruoso, the third episode of the artistic residency project in Cosenza 2015 took place. Their challenge was courageous and risky: to divert a significant portion of contemporary Italian art, and not only that, to a place dense with stereotypes, Southern Italy, and specifically Calabria. The virtuous intent of the project is precisely to initiate a dimension of mutual exchange between two seemingly distant worlds: the creative and visionary world and the everyday world of “normal” people. Upon arriving in Cosenza on September 4 with artists Piotr Hanzelewicz and Teresa Iaria, and settling into one of the 30 studio apartments built for the occasion, I immediately posed the question to myself: how to interact with the place and its inhabitants? But above all, does it make sense for us to meet the people of Cosenza? The following Sunday, I visited a small village in the province of Cosenza, Pantanolungo: here, my attention was drawn to an Italian flag placed above and on the same pole as that of Canada. When asked about the reason for this juxtaposition, I learned that every year a community of Calabrian citizens who emigrated to Canada returns for a brief vacation. I decided to immediately produce a video with the two flags interacting with each other in the wind, a sort of silent pseudo-institutional dance. The presence of these two flags evokes a series of considerations: dependence on the homeland, the mutual aid relationship between the two states, the traditions and sufferings of two peoples, two different cultures.
After some understandable skepticism, I spoke with some of these families. Theirs is the story of many Italians who have changed countries and lived for decades away from their roots. I think about how crucial the theme of dwelling is and how many metaphors it develops on the plate of reflections: The domestic space is also a political issue as well as private, of national responsibilities because it speaks of refuges, of asylums against hunger, of journeys, of loss of certainties, and adventures towards the unknown. Concepts that do not change, today as then, even though the subjects move and the routes change. After a few days, I returned to the scene of the “crime” and interacted with a particular family, taking portrait photographs and measuring the interior of their house. Later, they told me about the Canadian domestic space, and together we reconstructed the profile of a distant home from memory. The two resulting floor plans were then transposed onto opaline polyester sheets cut according to the architectural scheme and overlaid on the previously taken photographs, allowing for a partial reading that reveals precisely in the act of excluding. The grid planimetric in this case symbolizes liberation and imprisonment at the same time, their story in practice. Finally, following the same planimetric patterns, I cut and arranged on the ground in the box the two flags identical to those in the video, symbolizing a visual short circuit between private and public, between home and nation. Hence the title “Expatrie” (from the French “expatriate”): expatriate, but also homelands that no longer are because they do not retain and do not welcome. Human and subjective history intertwines with collective history, history of borders, transit contexts in perpetual suspension. For two weeks, I and the other 19 artists were inhabitants of a place dedicated to creativity that tried to debunk another place, the “common” one of contemporary art distant from reality and all its urgencies. For me, this attempt made sense, I believe also for the family that shared their story with me and for those who on September 18 came to visit us along the Crati river, on the avenue of artists, in my temporary home.

Sciarrata

 

Sciarrata, 2014

Performance del gruppo “Bandierai del Ducato di Traetto” di Minturno (LT)
Seminaria, Festival d’arte ambientale, Maranola (LT)
A cura di Marianna Fazzi, Isabella Indolfi e Fabrizio Pizzuto

I volti e i sorrisi degli abitanti di Maranola a vessillo di un paese che si racconta attraverso le loro espressioni prese come fossero stemmi e araldi di contrade e casate. A legarli questioni irrisolte, piccole antipatie, vecchi litigi o incomprensioni, “sbandierate” all’esterno e in pubblica piazza.
Un gioco di volteggio “liberatorio”, il lancio della bandiera è il momento in cui si perde contatto con le piccole questioni per poi rivederle in un punto di vista nuovo e opposto.

Marianna Fazzi

 

Sciarrata, 2014

Performance by the group “Bandierai del Ducato di Traetto” of Minturno (LT)
Seminaria, Environmental Art Festival, Maranola (LT)
Curated by Marianna Fazzi, Isabella Indolfi, and Fabrizio Pizzuto

The faces and smiles of the inhabitants of Maranola are the banners of a village that tells itself through their expressions, taken as if they were coats of arms and heralds of districts and houses. Unresolved issues, small antipathies, old arguments, or misunderstandings bind them, “flagged” outside and in public square. A game of “liberating” twirling, the flag throw is the moment when contact is lost with the small issues, only to see them again from a new and opposite perspective.

Marianna Fazzi

Cygnus x-1

 

Cygnus x-1

Blitz a cura di Donatella Giordano
21 dicembre 2014 ore 24.00, Roma

Avvistare una buca sul manto stradale non è una pratica che comporta l’utilizzo di strumenti sofisticati come satelliti raggi x, telescopi ottici o a onde radio, utilizzati dagli scienziati per le ricerche dei buchi neri nell’Universo. Eppure la loro natura appare talvolta così misteriosa da far spostare la riflessione su quel centro gravitazionale ormai calcificato in un sistema di malaffare, tangenti e corruzione che tutto attrae nel suo vortice.
A pochi giorni da Natale il blitz di Iginio De Luca rende quasi omaggio a Isaak Newton, nato il 25 dicembre 1642, precursore delle moderne ricerche per comprendere la gravità e i buchi neri. Il nome del blitz fa riferimento a Cygnus x-1, la più forte fonte di raggi x visibile dalla Terra.
Un censimento che battezza il dissesto stradale con le denominazioni osservative che gli astronomi hanno attribuito alle principali sorgenti di raggi x e onde radio, genericamente definite buchi neri, nelle cui prossimità l’orizzonte degli eventi segna l’orlo dell’abisso. Coordinate spaziali dove la gravità diventa così forte che nulla può sfuggire dal suo interno, proprio come accade nella situazione politica attuale, caduta in un gorgo sempre più profondo, visti i recenti scandali della mafia romana.

Donatella Giordano

Il blitz è stato realizzato con la collaborazione dell’astronomo Stefano Giovanardi.

 

Cygnus x-1

Blitz curated by Donatella Giordano
December 21, 2014, 12:00 AM, Rome

Spotting a pothole on the road surface is not a practice that requires sophisticated tools like x-ray satellites, optical telescopes, or radio wave telescopes used by scientists to research black holes in the universe. Yet their nature sometimes appears so mysterious as to shift the focus to that gravitational center now ossified into a system of malfeasance, bribes, and corruption that attracts everything into its vortex.
Just days before Christmas, Iginio De Luca’s blitz almost pays homage to Isaac Newton, born on December 25, 1642, a precursor to modern research in understanding gravity and black holes. The blitz’s name refers to Cygnus x-1, the strongest x-ray source visible from Earth.
A census that baptizes road disrepair with the observational designations that astronomers have assigned to the main sources of x-rays and radio waves, generically referred to as black holes, near which the event horizon marks the edge of the abyss. Spatial coordinates where gravity becomes so strong that nothing can escape from its interior, just as in the current political situation, which has fallen into an increasingly deep whirlpool, given the recent scandals of the Roman mafia.

Donatella Giordano

The blitz was carried out with the collaboration of astronomer Stefano Giovanardi.

L’inchino

 

L’inchino

Affissione di 10 maxi manifesti nei luoghi della cultura e del potere di Roma
Lunedì 28 luglio 2014, ore 23.00

L’immagine è frontale, il Marco Aurelio a prua che traina il palazzo del Campidoglio alrimorchio, riscaldati dal tramonto romano, decadente e passionale. Tutti e duepericolosamente inclinati, di 80° circa, la stessa inclinazione della Costa Concordia cheper 922 giorni è stata accasciata su un fianco nell’isola del Giglio. La scritta in basso è adinnescare un corto circuito geografico e il gemellaggio catastrofico di due realtà, quellacapitolina e quella toscana.All’origine di tutto c’è l’inchino di Schettino, rituale azzardato scaduto in goffa spavalderia,che da segno devozionale e di rispetto, decade a simbolo dell’ errore e della tragediacollettiva, trainando con sé anche il più recente inchino della Madonna alla casa delmafioso di turno. L’inchino diventa declino, smarrimento di rotta e di centralità, segno diprecarietà e vertigine. L’inclinazione si allaga di contenuti, diventa metafora di unadevastazione morale e fisica che stanno vivendo Roma e i romani. Responsabile diquesto inchino fallato è Ignazio Marino, sindaco disinvolto fintamente ecologico e perniente alternativo, che passa in bicicletta, sorride e sorvola sulle cose e sulle persone.Roma si inclina grazie alla sua maldestra e superficiale gestione. Si inclina nellamancanza di politiche culturali, nella sporcizia, nell’abbrutimento civile, nella festadell’Unità al posto della casa jazz, nella mancanza di attenzione al MACRO e a tutta l’artecontemporanea, nel mancato rispetto delle regole e nell’assenza di servizi adeguati aduna capitale mondiale. Roma si inclina e scivola in basso, affondando.Resta un’ipotesi da prendere in seria considerazione: e se rimettessimo in asse ancheMarino e, cordialmente scortato da due rimorchiatori, lo riaccompagnassimo a Genova(sua città natale) per essere definitivamente smantellato?I luoghi dell’affissione: Piazzale Aldo Moro, Ministero della Marina, MACRO di piazzaGiustiniani, Ministero della Pubblica Istruzione, Auditorium, Ministero di Grazia e Giustizia ,Tribunale di Roma, caserme di viale Giulio Cesare, casa della memoria di via Tiburtina.

 

L’inchino

Posting of 10 large posters in the places of culture and power in Rome
Monday, July 28, 2014, 11:00 PM

The image is frontal, Marco Aurelio at the bow pulling the Campidoglio palace in tow, heated by the Roman, decadent, and passionate sunset. Both dangerously tilted, about 80°, the same inclination as the Costa Concordia, which for 922 days lay on its side on the island of Giglio. The inscription below triggers a geographic short circuit and the catastrophic twinning of two realities, the Capitoline and the Tuscan.
At the origin of it all is Schettino’s bow, a daring ritual that turned into clumsy bravado, which from a devotional and respectful sign, deteriorated into a symbol of error and collective tragedy, dragging along even the most recent bow of the Madonna at the house of the current mafioso. The bow becomes decline, loss of course and centrality, a sign of precariousness and vertigo. The inclination is flooded with content, becoming a metaphor for the moral and physical devastation that Rome and Romans are experiencing. Responsible for this failed bow is Ignazio Marino, a casually ecological and largely alternative mayor, who cycles by, smiles, and overlooks things and people.
Rome leans due to his clumsy and superficial management. It leans in the absence of cultural policies, in dirtiness, in civic brutishness, in the Unity Party instead of the jazz house, in the lack of attention to the MACRO and all contemporary art, in the failure to respect rules, and in the absence of adequate services for a world capital. Rome leans and slides down, sinking.
It remains a hypothesis to be taken seriously: what if we also put Marino back on track and, cordially escorted by two tugboats, took him back to Genoa (his hometown) to be definitively dismantled?
Places of posting: Piazzale Aldo Moro, Ministry of the Navy, MACRO in Piazza Giustiniani, Ministry of Public Instruction, Auditorium, Ministry of Grace and Justice, Rome Courthouse, barracks in Viale Giulio Cesare, memory house in Via Tiburtina.

L’orfano

L’orfano

Blitz al M.A.C.R.O. di Roma, Videoproiezione di neonati che piangono sulle pareti del museo
Giovedì 13 marzo 2014, Via Nizza e Piazza Giustiniani, ore 23.00

Pianti disperati, volti imploranti che chiedono aiuto, protezione, amore. Sono neonati abbandonati, orfani in cerca di adozione, di un genitore che si prenda cura di loro come di una cosa molto preziosa e fragile. Come il MACRO in questo momento, un museo appena nato che emette vagiti lancinanti perchè alla deriva a meno di quattro anni dalla sua inaugurazione. Da mesi orfano di direttore. si trova ora in una fase stagnante con gravi problemi economici e in piena palude gestionale. E il MACRO diventa il simbolo della condizione culturale in Italia, orfana di figure politiche responsabili che amino veramente l’arte e la sappiano amministrare con onestà, competenza e passione; orfana dell’ennesimo muro crollato a Pompei; orfana della storia dell’arte sottratta all’insegnamento scolastico: orfana dei fondi per la cultura che si assottigliano sempre di più. Il pianto dei neonati è anche il mio, è anche il nostro, talmente forte e drammatico che diventa un grido di protesta che squarcia la notte godereccia, provinciale e senza coscienza di Roma.
Al termine del blitz, all’entrata delle rispettive sedi del MACRO, ho deposto a terra due ciucciotti per neonati, come souvenir simbolico a testimonianza dell’azione.

 

The Orphan

Blitz at the M.A.C.R.O. in Rome, Video projection of crying newborns on the walls of the museum
Thursday, March 13, 2014, Via Nizza and Piazza Giustiniani, 11:00 PM

Desperate cries, imploring faces asking for help, protection, love. They are abandoned newborns, orphans in search of adoption, of a parent who will take care of them as something very precious and fragile. Like the MACRO at this moment, a museum just born emitting piercing cries because it is adrift less than four years after its inauguration. Orphaned of a director for months, it is now in a stagnant phase with serious economic problems and in the midst of managerial quagmire. And the MACRO becomes the symbol of the cultural condition in Italy, orphaned of responsible political figures who truly love art and know how to administer it with honesty, competence, and passion; orphaned of yet another wall collapsed in Pompeii; orphaned of the history of art removed from school education; orphaned of funds for culture that are dwindling more and more. The crying of the newborns is also mine, it is also ours, so strong and dramatic that it becomes a cry of protest that tears through the complacent, provincial, and conscienceless night of Rome. At the end of the blitz, at the entrance of the respective venues of the MACRO, I placed two baby pacifiers on the ground as a symbolic souvenir to witness the action.

Farsa Italia – Via Crucis

 

Farsa Italia – Via Crucis

Sfilata con lo striscione “FARSA ITALIA”, via dei Fori Imperiali e piazza Venezia
Roma, domenica 6 ottobre 2013, ore 12.00

Iginio De Luca, cantando a squarcia gola l’inno berlusconiano (ma sostituendo la parola “FORZA” con “FARSA”) sfila a piedi con il gigantesco striscione di “Farsa Italia”. Una “via crucis” pagana, amara commemorazione del collasso politico e morale dell’Italia, a tappe dal Colosseo a piazza Venezia, per tutta via dei Fori Imperiali. Una via che è una metafora storica a 360 gradi: la via dell’Impero Romano e della Repubblica Italiana, del 2 giugno e delle (s)parate militari ma anche la via imposta dal Duce che sventra senza pietà l’origine della nostra storia.
Dopo 20 anni di caduta in campo la FORZA ha rivelato la sua vera natura degenerando in tragicomica FARSA, esprimendo al peggio lo smarrimento globale e l’impotenza dell’Italia di oggi.
Una processione laica che sarcasticamente sottolinea le riesumazioni politiche, immobili e autoreferenziali, l’impunito distacco dalla realtà da parte di chi sottomette a sé le istituzioni, l’egoismo e la miopia di chi è disposto a tutto pur di calcare all’infinito i palcoscenici del potere.
A spasso la domenica mattina unisciti a noi, insieme alle famiglie italiane, tra bimbi in festa, biciclette e passeggini, sfiliamo insieme e cantiamo: “FARSA ITALIA!”

 

Farsa Italia – Via Crucis

Parade with the banner “FARSA ITALIA”, via dei Fori Imperiali and Piazza Venezia
Rome, Sunday, October 6, 2013, 12:00 PM

Iginio De Luca, singing at the top of his lungs the Berlusconian anthem (but replacing the word “FORZA” with “FARSA”), marches on foot with the gigantic banner of “Farsa Italia”. A pagan “Via Crucis,” a bitter commemoration of Italy’s political and moral collapse, with stops from the Colosseum to Piazza Venezia, along Via dei Fori Imperiali. A street that is a historical metaphor in 360 degrees: the road of the Roman Empire and the Italian Republic, of June 2nd and military (s)parties, but also the path imposed by the Duce that ruthlessly guts the origin of our history.
After 20 years of falling onto the field, FORZA has revealed its true nature degenerating into a tragicomic FARSA, expressing at its worst the global bewilderment and impotence of today’s Italy.
A secular procession that sarcastically underlines political exhumations, immobile and self-referential, the unpunished detachment from reality by those who subjugate institutions to themselves, the selfishness and shortsightedness of those willing to do anything to tread the stages of power infinitely.
Come join us for a stroll on Sunday morning, along with Italian families, among festive children, bicycles, and strollers, let’s march together and sing: “FARSA ITALIA!”

Ca maronn c’accumpagn

Ca maronn c’accumpagn

Lancio di due grandi dadi da gioco sul piazzale del Quirinale
Roma, giovedì 4 aprile 2013, ore 19.00

Sono giorni immobili di sospensione e di vuoto, di attese che precedono forse un evento,un’improbabile svolta. Sono i giorni della tragicomica empasse politica, dello stallo edell’impotenza istituzionale che, degenerando, arriva a trasformarsi in giocoscaramantico, in consultazione metafisica, astrale.E allora affidiamoci al fato, aggrappandoci disperatamente alla sorte perchè la situazionepolitica italiana non ha più logica, non segue una direzione e soprattutto non ha più puntidi riferimento.L’Italia, un rebus senza soluzione dell’ultima pagina, abbandonata a se stessa (e con lei ilPresidente “Partenopeo” della Repubblica che “lancia” i saggi) confida nelle probabilità espera nei dadi, delegando alla fortuna lo sblocco fatalista della situazione.Nella generale indecifrabilità di questo periodo, compresa quella meteorologica, l’uscita diemergenza, la via di fuga, paradossalmente, potrebbe essere proprio quella di lasciarespazio alla casualità del destino che forse riuscirebbe meglio di tanta strategia politica!A questo punto anche a noi non resta che affidarci alla cabala, alla follia, guardare il cieloe lanciare i dadi supplicando: “ca Maronn c’accumpagn”!

 

Ca maronn c’accumpagn

Launch of two large dice on the square of the Quirinal Palace
Rome, Thursday, April 4, 2013, 7:00 PM

These are days of immobility, suspension, and emptiness, days of anticipation that precede perhaps an event, an improbable turning point. These are the days of tragicomic political impasse, of stalemate and institutional impotence, which, degenerating, turns into a whimsical game, a metaphysical and astral consultation.
So let us entrust ourselves to fate, clinging desperately to chance because the Italian political situation no longer makes sense, it does not follow a direction, and above all, it no longer has reference points.
Italy, an unsolvable enigma of the last page, abandoned to itself (and with it the “Neapolitan” President of the Republic who “throws” the dice) relies on probabilities and trusts in the dice, delegating to fortune the fatalistic unlocking of the situation.
Amidst the general indecipherability of this period, including the meteorological one, the emergency exit, the escape route, paradoxically, could be to make room for the randomness of destiny, which perhaps would succeed better than so much political strategy!
At this point, even we have nothing left but to rely on the cabala, on madness, to look at the sky and roll the dice, pleading: “ca Maronn c’accumpagn”!

Vota Paolo Uccello

 

Vota Paolo Uccello

Affissione di 10 maxi manifesti nei luoghi dell’arte, della cultura e del potere
Roma, mercoledì 21 maggio 2014, ore 23.00

 

L’artista è sempre impegnato a scrivere una minuziosa storia del futuro perché è la sola persona consapevole della natura del presente.

Marshall McLuhan

Cos’è che manca alla politica in questa tristissima campagna elettorale? Più di tutto mancano i politici; di essi è rimasto l’involucro, lo stampo colorato. In sostituzione io candido gli artisti che, con la loro responsabile follia, destituiscono dal trono dell’abbrutimento parlamentare uomini dissociati dalla realtà che non si specchiano più nel pensiero collettivo. Non si specchiano perché inesistenti, come i fantasmi di fronte al loro riflesso. L’arte sale al potere e con l’arte la cultura, le idee, la progettualità, la lungimiranza, il coraggio, la visionarietà, l’onestà morale – e non solo quella -, l’immaginazione, la forza, la coerenza se non altro verso se stessi, la sofferenza, la passione, la fatica fisica, la gioia, l’ironia: concetti e sentimenti smarriti dalla politica, che non trova neanche più la dignità della disfatta, figuriamoci la svolta rivoluzionaria a ottanta euro a botta.
Nonostante non sia più tra noi da oltre cinque secoli, è lui, insieme a tutti gli artisti candidati, il degno rappresentante dell’Italia all’estero: quest’anno alle europee, votate Paolo Uccello!
I 10 artisti candidati: vota Paolo Uccello, vota Alberto Burri, vota Lucio Fontana, vota Piero Manzoni, vota Pino Pascali, vota Carla Accardi, vota Alighiero Boetti, vota Ketty La Rocca, vota Gino De Dominicis, vota Maurizio Cattelan.
I luoghi dell’affissione: Piazzale Aldo Moro, galleria d’Arte Moderna, MAXXI, MACRO via Nizza e piazza Giustiniani, Ministero della Pubblica Istruzione, Auditorium, Ministero di Grazia e Giustizia , Ministero del Tesoro, casa della memoria di via Tiburtina.

 

Vote for Paolo Uccello

Posting of 10 large posters in the places of art, culture, and power
Rome, Wednesday, May 21, 2014, at 11:00 PM

 

“The artist is always busy writing a meticulous history of the future because he is the only person aware of the nature of the present.”

Marshall McLuhan

What is missing in this extremely sad election campaign? Above all, politicians are missing; all that remains of them is the colorful shell. In their place, I nominate the artists who, with their responsible madness, dethrone from the throne of parliamentary brutishness men dissociated from reality who no longer reflect the collective thought. They do not reflect because they are non-existent, like ghosts in front of their reflection. Art rises to power and with art comes culture, ideas, planning, foresight, courage, visionary thinking, moral honesty – and not only that -, imagination, strength, coherence if nothing else towards oneself, suffering, passion, physical effort, joy, irony: concepts and feelings lost by politics, which no longer finds even the dignity of defeat, let alone the revolutionary turn at eighty euros a shot. Although he has been gone for over five centuries, he, together with all the nominated artists, is the worthy representative of Italy abroad: this year in the European elections, vote for Paolo Uccello!
The 10 nominated artists: vote for Paolo Uccello, vote for Alberto Burri, vote for Lucio Fontana, vote for Piero Manzoni, vote for Pino Pascali, vote for Carla Accardi, vote for Alighiero Boetti, vote for Ketty La Rocca, vote for Gino De Dominicis, vote for Maurizio Cattelan.
Locations of posting: Piazzale Aldo Moro, Galleria d’Arte Moderna, MAXXI, MACRO via Nizza and Piazza Giustiniani, Ministry of Public Education, Auditorium, Ministry of Justice, Ministry of the Treasury, house of memory in Via Tiburtina.

Ioio

Ioio

 

Ioio, 2014

Fotografie analogiche ritoccate in digitale

La giustapposizione delle immagini, il corpo del padre con la testa dell’artista, con in braccio l’artista stesso da piccolo, crea uno slittamento della comprensione della realtà. Un gioco di corti circuiti che impone una visione delle immagini fotografiche attenta, volta a vedere ciò che si ha realmente di fronte. Il titolo Ioio da bene il senso delle due figure che si sommano.

Sabrina Vedovotto

 

Ioio, 2014

Analog photographs digitally retouched

The juxtaposition of images, the body of the father with the head of the artist, holding the artist himself as a child, creates a shift in the understanding of reality. A play of short circuits that demands a careful vision of the photographic images, aimed at seeing what one truly faces. The title “Ioio” aptly captures the sense of the two figures merging.

Sabrina Vedovotto

Linee guida

 

Linee Guida, 2006-2008

Collage di fotografie su parete, dimensioni ambiente

Le linee e i contorni delle memorie familiari, creano installazioni di collage fotografici che sfidano i confini tra passato e presente, memoria e realtà. Questi lavori sono frammenti preziosi della mia storia e identità personale. Le immagini, estrapolate da polaroid e foto antiche degli anni ’70, ritraggono momenti della mia infanzia e della vita familiare; centinaia di piccole immagini sono tagliate e assemblate per formare l’outline di oggetti e ambienti a me cari. Le linee guida si estendono per tutto lo spazio espositivo, perimetrano la mia vita affettiva, creando una mappa visiva delle esperienze e dei legami che definiscono la casa. Da lontano le linee appaiono come semplici tracciati grafici di matrice pittorica, da vicino rivelano la natura maniacale e dettagliata del lavoro, che invita lo spettatore ad una duplice visione dinamica, estesa e grandangolare o ravvicinata e circoscritta. Attraverso “Linee Guida”, invito a esplorare il concetto di identità domestica e di appartenenza, rivelando la complessità e la profondità delle nostre connessioni con il luogo che chiamiamo casa. Quest’opera spinge a riflettere sul potere evocativo delle immagini e sul modo in cui la memoria si intreccia con la nostra percezione dello spazio e del tempo, è un invito a esplorare la nostra personale e stratificata geografia dell’anima attraverso il filtro dei ricordi e delle esperienze.

 

Linee Guida, 2006-2008

Collage of photographs on the wall, room dimensions.

The lines and contours of family memories create installations of photographic collages that challenge the boundaries between past and present, memory and reality. These works are precious fragments of my history and personal identity. The images, extracted from Polaroids and old photos from the ’70s, depict moments from my childhood and family life; hundreds of small images are cut and assembled to form the outline of objects and environments dear to me. The guidelines extend throughout the exhibition space, delineating my emotional life, creating a visual map of the experiences and connections that define home. From a distance, the lines appear as simple graphic traces of painterly matrix, up close they reveal the meticulous and detailed nature of the work, inviting the viewer to a dual dynamic vision, extended and wide-angle or close and confined. Through “Guidelines,” I invite you to explore the concept of domestic identity and belonging, revealing the complexity and depth of our connections to the place we call home. This work prompts reflection on the evocative power of images and how memory intertwines with our perception of space and time. It is an invitation to explore our personal and layered geography of the soul through the filter of memories and experiences.

Solarium

 

 

Solarium, 2014 – 2016

Progetto fotografico e video, Roma

 

Still life/Street life

Nella serie di lavori titolati Solarium (immagini fotografiche e video) De Luca continua la sua azione artistica, che tende ad attivare la riflessione, costruendo appositamente alcuni inciampi capaci di riavviare il meccanismo del pensiero, a minare la fondatezza dei luoghi comuni e rendere visibile quanto si nasconde dietro l’apparenza delle cose, nell’intento di rovesciare la realtà.
L’insistita frontalità delle immagini, immobili e sospese o impercettibilmente transitorie, in cui convivono sublimità e banalità, fasto e desolazione, bellezza e disfacimento, naturalità e messa in scena, allude alla caducità della condizione umana, in una trasposizione contemporanea delle tradizionali nature morte.
Fotogrammi di una realtà fittizia, accattivante e perfino patinata, esposta 24 ore su 24 in composizioni ordinate alla luce artificiale che esalta i colori e le forme e cela in una reiterata sospensione temporale l’inevitabile decomposizione. Mostrano e insieme nascondono. Congelano l’emotività, mettono in atto una riflessione sull’ambiguità della percezione.

Loredana Rea

 

Solarium, 2014 – 2016

Video and photographic project, Roma

 

Still life/Street life

In the series of works titled “Solarium” (photographic images and videos), De Luca continues his artistic action, aiming to activate reflection by deliberately constructing stumbling blocks capable of restarting the thought process, undermining the foundation of commonplaces, and making visible what hides behind the appearance of things, with the intention of overturning reality. The insistent frontality of the images, motionless and suspended or imperceptibly transitory, where sublimity and banality, splendor and desolation, beauty and decay, naturalness, and staging coexist, alludes to the transience of the human condition. It is a contemporary transposition of traditional still lifes.
Frames of a fictitious reality, captivating and even polished, exposed 24 hours a day in orderly compositions under artificial light that enhances colors and shapes and hides the inevitable decomposition in a repeated temporal suspension. They show and simultaneously conceal. They freeze emotionality, enact a reflection on the ambiguity of perception.

Loredana Rea

Udbusting manifesto Alfano

 

Adbusting sul manifesto elettorale di Alfano

Roma, 22 aprile 2014

L’aggiunta cartacea di elementi simbolici sui manifesti elettorali, rende Alfano personaggio ancor più inquietante ma paradossalmente ironico (componente in lui totalmente estranea), meno impostato e forse più veritiero.

(AGF foto)

 

Adbusting on Alfano’s electoral poster

Rome, April 22, 2014

The addition of symbolic elements on the electoral posters makes Alfano an even more unsettling figure, but paradoxically ironic (a component in him completely foreign), less staged, and perhaps more truthful. (AGF photo)

MIMA L’ARTE N.16


 

A “grande richiesta” e dopo mesi di attesa, torna “mima l’arte” con un nuovo episodio e due ospiti graditissimi: Balabiot e Pierpi Hancock

MIMA L’ARTE N.13

 

MaxVonSidol, Pilu e IgiBlek mimano due pittori dalle opposte consistenze

MIMA L’ARTE N.12

 

Pilu, per la prima vota in assolo, mima due pittori dalle misure alquanto diverse

MIMA L’ARTE N.10

 

La Nonnis, gradita ospite per l’occasione, mima insieme a IgiBlek due artisti dichiaratamente estetizzanti

MIMA L’ARTE N.7

MaxVonSidol, incoraggiato e supportato da IgiBlek e Pilu, prosegue la s(a)ga di Mima l’arte e mettila da parte. N.7 Tre episodi in negativo…

MIMA L’ARTE N.4

MaxVonSidol, Pilu e IgiBlek mimano due artisti degli anni ’60

MIMA L’ARTE N.1

IgiBlek mima due pittori bolognesi del ‘600

Se penso a quel giorno

Se penso a quel giorno, 2011

Video HD, 16:9, colore, sonoro, durata: 2’38’’

Un modo per non perdere il bambino che sono stato, per essere in contatto con lui e la sua spensieratezza, per seguirne lo spirito allegro. malinconico e disincantato.
Sovrappongo il mio volto attuale alla mia voce di 37 anni fa, “doppiando” con le immagini un suono ancora sottile e immaturo.
Il testo e la musica, totalmente improvvisati, parlano di situazioni e temi che si sono rivelati nella mia vita, ancora oggi, ricorrenti e familiari.

 

Se penso a quel giorno, 2011

Video HD, 16:9, color, sound, duration: 2’38’’

A way to not lose the child I was, to keep in contact with him and its carefree, to follow its joyful spirit, melancholic and disenchanted. I overlap my face of today with my voice of 37 years ago, “dubbing” with the images a sound still thin and immature. The text and music, totally improvised,  tell about situations and topics that they have been in my life, and they still are, recurring and familiar.

IAILAT

Iailat, 2011

Video HD, 16:9, colore, sonoro, durata: 1’34”

Iailat è un nome formato dall’unione casuale delle lettere che compongono la parola Italia. Nel titolo il senso del lavoro. Rompendo gli argini, i tre colori si frantumano e si muovono liberamente nello spezio. La frattura cromatica innesca un modo alternativo di concepire il nostro paese e l’inno di Mameli rallentato ne commenta la stagnante e tragica condizione.

 

Iailat, 2011

Video HD, 16:9, color, sound, duration: 1’34”

“Iailat” is a name formed by the random combination of letters composing the word “Italia.” In the title, the meaning of the work. Breaking the banks, the three colors shatter and move freely in space. The chromatic fracture initiates an alternative way of conceiving our country, while the slowed-down anthem of Mameli comments on the stagnant and tragic condition.

CRĂCIUN FERICIT

Craciun Fericit, 2010,

Video Pal, 4.3, colore, sonoro, durata: 1’38”

Buon Natale in rumeno si dice Craciun Fericit.
Chi si destreggia nel traffico caotico di Roma è proprio un Babbo Natale rumeno che nel suo goffo e improbabile travestimento chiede un misero compenso agli automobilisti distratti che lo circondano per poi abbandonarlo a ogni verde di semaforo. Il pallone che rimbalza compulsivamente sulla testa, diventa la metafora perfetta del nostro tempo in cui anche personaggi dell’immaginario collettivo e intoccabile sono declassati a mortificanti fenomeni metropolitani, disposti a tutto pur di svoltare la giornata.

 

Craciun Fericit, 2010,

Video Pal, 4.3, color, sound, duration: 1’38”

Merry Christmas in Romanian is Craciun Fericit. Whoever juggles in the chaotic traffic of Rome is a Romanian Santa Claus who in his clumsy and unlikely disguise asks for a meagre compensation to the distracted motorists who surround him and then abandon him at the green light of the traffic light. The compulsively bouncing ball on the head, becomes the perfect metaphor for our time in which even the characters of the collective and untouchable imagination are downgraded to a mortified metropolitan phenomena, willing to do anything to change their day.

Nato a Formia e residente a Roma

Nato a Formia e residente a Roma, 2010

Video Pal, 16:9, colore, sonoro, durata: 3’01’’

Due inquadrature, due paesaggi, uno al dritto e l’altro capovolto che si toccano al centro; i luoghi da cui ho ripreso questi orizzonti appartengono alla mia nascita (l’ospedale di Formia, video in basso) e alla mia attuale residenza (il terrazzo condominiale del mio studio da cui si vede una parte di Roma). La ripresa è senza cavalletto e ognuna segue un iter casuale, contemplativo. I movimenti della mia mano, lo zoom e il volgersi casuale dell’obiettivo, interagiscono nei due video in maniera involontaria, ricreando un terzo paesaggio, frutto del continuo slittare di un contesto sull’altro.

 

Nato a Formia e residente a Roma, 2010

Video Pal, 16:9, color, sound, duration: 3’01’’

Two shots, two landscapes, one straight and the other one upside down which touch at the centre; the places from which I recorded these two horizons are linked to  my birth (the Formia’s Hospital, video at the bottom)  and my current house (the terrace of my studio from which you can see part of Rome). The shooting has been done without a tripod and, each follows an accidental, contemplative process. The movement of my hand, the zoom and the random turning of the lens, interact in the two videos involuntarily, recreating a  third landscape, the result of the continue sliding of a context on the other.

 

Tutti per uno

Tutti per uno, 2008,

Video PAL, 4:3, colore, sonoro, durata: 2’ 38’’

Un pupazzo gonfiabile animato da un getto d’aria e la canzone di Mario Merola che sembra ne detti i movimenti. Il titolo sottolinea malinconicamente una serie di luoghi comuni del sud Italia: la povertà, l’emigrazione, la nostalgia, la sofferenza, Il personaggio, dagli andamenti ondulatori e melodrammatici, amplifica sarcasticamente il tono della canzone, ispirata alla migliore tradizione della sceneggiata napoletana.

 

Tutti per uno, 2008,

Video PAL, 4:3, color, sound, duration: 2’ 38’’

The inflatable puppet animated by a jet of air and Mario Merola’s song that seems to make it moving. The title underlines melancholically a series of stereotypes about the South of Italy: the poverty, the migration, the nostalgia, the sufferance. The character, with wavy and melodramatic movements, amplifies ironically the tone of the song, inspired by the best traditional Neapolitan drama.

L’urdemo Emigrante

L’urdemo emigrante, 2008

Video Pal, 4:3, colore, sonoro, durata: 4’37”

Un pupazzo gonfiabile animato da un getto d’aria che cerca disperatamente di staccarsi dal basamento senza mai riuscirci. Il contesto del video è una strada provinciale ad alta frequentazione che, abbinato alla canzone di Mario Merola “l’urdemo emigrante”, suscita una riflessione agrodolce sul viaggio e l’emigrazione.

 

L’urdemo emigrante, 2008

Video Pal, 4:3, color, sound, duration: 4’37”

An inflatable puppet animated by a jet of air that tries desperately to detach from the base without ever succeeding. The context of the video is a highly frequented provincial road that, combined the song of Mario Merola “ l’urdemo emigrante”,arouses a bittersweet reflection on travel and emigration.

DUECENTOSETTANTA GRADI

Duecentosettanta°, 2007,

Video 16:9, colore, sonoro, durata: 3’31’’

Un volto di una donna in primo piano rilassato e tranquillo; il contesto è naturale, un parco pubblico, voci in lontananza, erba,alberi e cielo. Poco a poco il paesaggio scorre dietro al volto, è la donna che si muove o è lo sfondo sul retro? Dopo aver attraversato gli alberi, la donna “atterra” di nuovo sul prato ma ormai il mondo è capovolto e il viso completamente deformato. Questo video affida alla forza di gravità la possibilità di rivelare quella che è la nostra identità più inconscia e segreta, cambiando semplicemente il punto di vista.

 

Duecentosettanta°, 2007,

Video 16:9, color, sound, duration: 3’31’’

In the foreground the calm and relaxed face of a woman; the context is natural, a public park, far away voices, the grass, the trees and the sky. Little by little the landscape passes by behind the face, is the woman moving or the background? After crossing the trees, the woman “lands” again on the grass but now the world is upside down and the face is completely deformed. This video entrusts the force of gravity the possibility of revealing what is our more unconscious and secret identity, by only changing our point of view.

C6 H8 06

C6H8O6, 2008

Video Pal, 4:3, colore, sonoro, durata: 2’04’’

Voci che dialogano a distanza tra disturbi, respiri profondi e messaggi cifrati, sono i momenti indelebili della nostra storia recente: l’atterraggio degli astronauti americani sulla Luna il 20 luglio 1969. Le immagini sembrano coerenti con il suono, ne rilanciano il contesto spaziale e avventuroso: spirali e vortici puntiformi danzano freneticamente su una superficie di un blu intenso. Quando i fenomeni celesti si attenuano e l’inquadratura gradualmente si allarga tutto diventa, però, improvvisamente riconoscibile e banale: un’ aspirina che si scioglie in un bicchiere d’acqua. Sono gli incontri ironici e paradossali di due dimensioni: quella cosmica e quella domestica.

 

C6H8O6, 2008

Video Pal, 4:3, color, sound, duration: 2’04’’

Voices that talk to each other from distance between disorders, the deep breath and encrypted messages, these are the indelible moments of our recent history: the landing of the American astronauts on the Moon on the 20th July 1969. The images seem consistent with the sound, they relaunch the spatial and adventurous context: spirals and point vortexes dance frantically on a surface of intense blue. However, when the celestial phenomena fade and the shot gradually widens everything becomes, suddenly, familiar and trivial: an aspirin that dissolves in a glass of water. These are ironic and paradoxical encounters of two dimensions: the cosmic and the domestic one.

Manica a vento

Manica a vento, 2009

Video Pal, 4:3, colore, sonoro, durata: 3’01’’

Il video è un lavoro ironico e metaforico sulla situazione attuale del nostro paese: la bandiera italiana che, secondo come soffia il vento, guida l’inno di Mameli al dritto (se la bandiera sventola a destra) o al contrario (se la bandiera sventola a sinistra).
L’incepparsi continuo della musica, che non progredisce mai, è un pretesto per riflettere anche sulle pseudo ufficialità delle istituzioni, smitizzandone il potere.

 

Manica a vento, 2009,

Video Pal, 4:3, color, sound, duration: 3’01’’

The video is an ironical piece of art and a metaphor about Italy through the elements that best represent  the institutional symbols: the national anthems and the flag. The movement of the wind guides the musical trend that is regular and legible if the flag flutters to the right and then jam and go on the opposite way if the flag  flutters to the left. The national anthem of Mameli, commemorative  and patriotic, it is twisted and made unrecognisable by  extraneous and irrational forces that re-assemble  accidentally the notes, demythologising continuously the official and celebratory power.

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2 manifesti affissi, Casa della Memoria di via Tiburtina (San Lorenzo) e piazzale Aldo Moro, la Sapienza
Roma, 8 settembre 2013, ore 24.00

La foto è una delle più crude ed emblematiche della storia italiana dell’ultimo secolo: Benito Mussolini, Claretta Petacci e gli altri esponenti della Repubblica Sociale Italiana uccisi e appesi per le gambe a testa in giù in Piazzale Loreto a Milano il 29 aprile 1945.
L’immagine, brutale e oscena, è capovolta come la scritta “ITALIA” che dà il titolo al blitz.
Visti cosi i personaggi sembrano saltare in aria con le braccia alzate in un improvviso slancio vitale, un balzo nel vuoto, una visione sospesa e ambigua di straniante lettura.
Si tratta di pura illusione, finzione, rovesciamento della realtà come l’Italia di oggi. L’Italia degli inganni, dei voltafaccia, l’Italia sempre pronta al capovolgimento dei fatti e delle cose, dei ribaltoni politici, del trasformismo dietro l’angolo. Un paese profondamente amorale e senza memoria che si rispecchia in questa sorta di “capriola” visiva.
Nella notte dell’8 settembre (in cui 70 anni fa l’Italia svoltava il suo corso firmando l’armistizio con gli anglo-americani) e nella mattina del 9 (in cui il Senato decide sulla decadenza di Berlusconi) il manifesto viene affisso a San Lorenzo, davanti alla casa della memoria e in piazzale Aldo Moro, di fronte alla Sapienza, in sarcastico omaggio alla memoria e alla cultura del nostro paese.

 

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2 posters displayed, Casa della Memoria in Via Tiburtina (San Lorenzo) and Piazzale Aldo Moro, La Sapienza
Rome, September 8, 2013, 12:00 AM

The photo is one of the most brutal and emblematic in Italy’s recent history: Benito Mussolini, Claretta Petacci, and other members of the Italian Social Republic killed and hung upside down by their feet in Piazzale Loreto in Milan on April 29, 1945.
The image, brutal and obscene, is flipped just like the word “ITALIA” that titles the blitz. Seen this way, the figures seem to be leaping into the air with raised arms, in a sudden surge of vitality, a leap into the void, a suspended and ambiguous vision of disorienting interpretation.
It’s pure illusion, fiction, a reversal of reality like today’s Italy. Italy of deceit, of about-faces, always ready to flip events and things, political somersaults, opportunism around the corner. A deeply amoral and forgetful country that reflects itself in this sort of visual “somersault.”
On the night of September 8 (when 70 years ago Italy changed its course by signing the armistice with the Anglo-Americans) and on the morning of the 9th (when the Senate decides on Berlusconi’s expulsion), the poster is displayed in San Lorenzo, in front of the Casa della Memoria, and in Piazzale Aldo Moro, in front of La Sapienza, in a sarcastic tribute to the memory and culture of our country.

Italia For Sale

 

Italia For Sale

Ritocco manifesti elettorali di Monti
Roma, venerdi 18 gennaio 2013, ore 23.00, Pigneto, Trastevere e Ostiense

Nella notte ho ritoccato alcuni manifesti della campagna elettorale di Mario Monti: lo slogan recita questo: “l’Italia che sale”. Basta sostituire al “che” un “for” e il tutto suona improvvisamente diverso ma forse meno surreale e più veritiero!

 

Italy For Sale

Adjustment of Monti’s electoral posters
Rome, Friday, January 18, 2013, 11:00 PM, Pigneto, Trastevere, and Ostiense

During the night, I retouched some posters from Mario Monti’s election campaign: the slogan reads “l’Italia che sale” (Italy on the rise). Simply replacing “che” with “for,” and suddenly everything sounds different, perhaps less surreal and more truthful!

Monumento al panino

Monumento al panino

Deposizione di un panino gigante sotto la statua del Marco Aurelio
Roma, Domenica 6 gennaio 2013, piazza del Campidoglio, ore 12.00

Una rosetta enorme farcita di abbondante mortadella sale le scalinate del Campidoglio per andarsi a sistemare al centro della piazza, sotto la statua del Marco Aurelio a cavallo.
E’ il monumento al panino, un regalo della Befana per Alemanno, un dono e una provocazione a rilanciare, polemicamente, l’ordinanza comunale dell’”anti-bivacco”, disposta il 1° ottobre 2012 a favore della pulizia nel centro storico di Roma e del decoro urbano.
Il panino è lì, in tutta la sua grossolana caricatura e pacchiana finzione, dedicato al Sindaco, a sottolinearne l’approccio grottesco e maldestro alla città nella sua globale amministrazione. Il panino è anche metafora casereccia della classe politica attuale, intrisa di prosaica volgarità e di basso profilo etico, o della più semplice atmosfera del “magna magna”, creatasi negli ultimi tempi in Italia e in particolare a Roma: è il cibo dei poveri vista la crisi, ma dei poveri di spirito, in questo caso.
Il monumento al panino omaggia qualcosa che non c’è più, una memoria perduta nel tempo e che vale la pena ricordare.
Non è tanto l’oggetto in sé, quanto lo spirito a cui era legato: quello dello spuntino di metà mattina che rallegrava i palati dei lavoratori romani.
Ora tutto questo suona a mo’ di disobbediente protesta, tanto più grande quanto più è grande il panino!

 

Monument to the Sandwich

Deposition of a giant sandwich under the statue of Marcus Aurelius
Rome, Sunday, January 6, 2013, Capitoline Hill square, 12:00 PM.

A huge sandwich filled with abundant mortadella climbs the steps of the Capitoline Hill to be placed in the center of the square, under the statue of Marcus Aurelius on horseback. It’s the monument to the sandwich, a gift from Befana to Alemanno, a gesture and a provocation to relaunch, polemically, the municipal ordinance of the “anti-bivouac,” issued on October 1, 2012, in favor of cleaning up the historic center of Rome and urban decorum. The sandwich is there, in all its gross caricature and flashy fiction, dedicated to the Mayor, to emphasize his grotesque and clumsy approach to the city in his overall administration. The sandwich is also a homely metaphor for the current political class, steeped in prosaic vulgarity and low ethical profile, or the simpler atmosphere of “magna magna,” created in recent times in Italy and especially in Rome: it is the food of the poor given the crisis, but of the poor in spirit, in this case. The monument to the sandwich pays homage to something that no longer exists, a memory lost over time and worth remembering. It’s not so much the object itself, but the spirit to which it was attached: that of the mid-morning snack that delighted the palates of Roman workers. Now all this sounds like a defiant protest, all the bigger the sandwich!

Ladro Lui Ladra Lei

 

Ladro Lui Ladra Lei

Proiezione sul palazzo della Regione Lazio del film “Ladro lui ladra lei” di Luigi Zampa del 1958
Roma, 30 settembre 2012, via Cristoforo Colombo, ore 21.00

Iginio De Luca interviene di nuovo sulla cronaca politica con un’altra “visualizzazione”.
Domenica 30 settembre alle ore 21, il palazzo della Regione Lazio diventa un grande lenzuolo bianco su cui proiettare il film Ladro lui ladra lei, diretto da Luigi Zampa nel 1958, con Sylva Coscina e Alberto Sordi.
Il film descrive una Roma vergine di grandi palazzi e centri commerciali, con una vita ancora a misura d’uomo, che si avvia verso quello sviluppo senza progresso, come lo chiamerà Pasolini, degli anni successivi. Il personaggio di Alberto Sordi, popolano, imbroglione e trasformista come il suo contesto, fa da specchio tragicomico allo scandalo di oggi fatto di soldi pubblici trafugati, passaggi di colpe e di responsabilità. La presidente Polverini, il consigliere Fiorito e tutta la giunta che governa il Lazio sono classe politica emersa dal popolo, o meglio dai suoi difetti, e come “popolo” di Roma si muovono
spavaldamente nel “gestire” denaro pubblico per scopi personali.
La “visualizzazione” di De Luca trasforma il palazzo di vetro e cemento della Regione nello spettacolo indecente di se stesso. Quanto le cronache ci hanno fatto conoscere, De Luca , attraverso un nuovo readymade ambientale, lo sintetizza trasformando il palazzo nello schermo della “commedia all’ italiana” che dalla metà degli anni ’50 ha immortalato i mostri del nostro paese facendo delle loro azioni canagliesche le maschere della realtà nostrana: paese troppo spesso senza classe dirigente capace di un punto di vista oltre l’orticello maleodorante della convenienza immediata, sostanzialmente senza idee che non siano la sopravvivenza avida, egoista e cafona.
Il bianco e nero della pellicola con la sua evanescenza evoca i fantasmi di maschere lontane (quelle che dalla commedia dell’arte sono scivolate senza soluzione di continuità nel cinema) la cui scellerata simpatia contrasta con l’arroganza e protervia dei nuovi mostri della cronaca politica attuale. Il bianco e nero evoca le debolezze di eroi negativi che aggiravano furfantescamente la regola del potere nell’impossibilità di ascendere nella scala sociale che sentivano preclusa o, spesso, faticosa rispetto alla loro incancrenita indolenza. I mostri a colori delle cronache quotidiane, invece, sono il Palazzo, evocato e dannato da Pasolini, fattosi gente; sono tutt’uno con la regola che si costruiscono a loro uso e consumo, salvo essere smascherati per delle pieghe “impreviste” del corso delle
cose (come nelle migliori trame della fiction, appunto), quando la rete si smaglia per un accidente. La scellerata simpatia di Alberto Sordi e Sylva Coscina finisce così per aumentare la stratosferica lontananza dagli equivalenti politici contemporanei, chiusi nella loro autoreferenziale pochezza, senza nemmeno la redenzione inscritta in quell’antica tragicomica disperazione delle maschere della commedia.

Franco Speroni

 

Thief He, Thief She

Projection on the building of the Lazio Region of the film “Thief He, Thief She” directed by Luigi Zampa in 1958
Rome, September 30, 2012, via Cristoforo Colombo, 9:00 PM

Iginio De Luca intervenes again in political events with another “visualization.” On Sunday, September 30th at 9:00 PM, the building of the Lazio Region becomes a large white sheet on which to project the film “Thief He, Thief She,” directed by Luigi Zampa in 1958, starring Sylva Coscina and Alberto Sordi.
The film depicts a Rome devoid of tall buildings and shopping centers, with a life still on a human scale, moving towards the progress without development, as Pasolini will call it, of the subsequent years. The character of Alberto Sordi, a commoner, swindler, and shape-shifter like his context, serves as a tragicomic mirror to today’s scandal of embezzled public money, shifting of blame and responsibility. President Polverini, councilor Fiorito, and the entire Lazio government are a political class emerging from the people, or rather from its flaws, and like the “people” of Rome, they boldly “manage” public money for personal purposes.
De Luca’s “visualization” transforms the glass and concrete building of the Region into the indecent spectacle of itself. What the news has made us aware of, De Luca, through a new environmental readymade, synthesizes it by transforming the building into the screen of the “Italian comedy” that since the mid-1950s has immortalized the monsters of our country, turning their villainous actions into masks of our reality: a country too often without a capable leadership with a perspective beyond the foul-smelling convenience, essentially devoid of ideas other than greedy, selfish, and tacky survival.
The black and white of the film with its evanescence evokes the ghosts of distant masks (those that from the commedia dell’arte seamlessly slipped into cinema) whose wicked sympathy contrasts with the arrogance and brazenness of the new monsters of today’s political news. The black and white evokes the weaknesses of negative heroes who cunningly circumvented the rule of power in the impossibility of ascending in the social ladder they felt closed or, often, arduous compared to their ingrained laziness. The monsters in the colorful daily news, instead, are the Palace, evoked and damned by Pasolini, turned into people; they are one with the rules they build for their own use and consumption, only to be unmasked for “unexpected” twists of fate (as in the best plots of fiction) when the net unravels due to an accident. The wicked sympathy of Alberto Sordi and Sylva Coscina thus ends up increasing the stratospheric distance from their contemporary political equivalents, trapped in their self-referential mediocrity, without even the redemption inscribed in that ancient tragicomic despair of the masks of comedy.

Franco Speroni

Farsa Italia

 

Farsa Italia

Aereo da turismo che sorvola il Grande Raccordo Anulare di Roma
Giovedì 13 ottobre 2011, dalle ore 16.00 alle 18.00

Nel giorno in cui Silvio Berlusconi parla alla Camera, intorno a Roma succede qualcosa.
Come la puntina su un disco graffiato che si incanta e ripete ossessivamente gli stessi suoni, l’aereo gira intorno a Roma, in loop, seguendo il solco del grande raccordo anulare.
La rotta del volo è autistica, l’aereo viaggia a vuoto senza meta sopra le stesse zone e non punta mai al centro, nel cuore della città, disegnando così metafore dell’ Italia attuale.
Dopo “SILVIO C’HAI ROTTO LI GOMMONI” sul mare, “FARSA ITALIA” sulla terraferma.
Il logo usato è quello vecchio, della prima “discesa in campo” del cavaliere tra noi umani.
E io parto da lì, da quel logo, l’origine della fiction berlusconiana, una meta-realtà dopata con tanto di luminarie da festa paesana e fuochi d’artificio. La FORZA all’origine è diventata FARSA al termine.
Ma FARSA ITALIA è anche altro, è un concetto che dall’alto ci specchia in coda nel traffico in un autoritratto collettivo, è un omaggio agro-dolce all’Italia degli anniversari, è un’allusione popolare e romanesca alla non verità e, perché no, un abbinamento cromatico con l’azzurro variegato del cielo!

 

Farsa Italia

A small tourist plane flies over the Grande Raccordo Anulare (the ring road) of Rome
Thursday, October 13, 2011, from 4:00 PM to 6:00 PM

On the day Silvio Berlusconi speaks in the Chamber of Deputies, something happens around Rome.
Like the needle on a scratched record that gets stuck and obsessively repeats the same sounds, the plane circles around Rome, in a loop, following the groove of the ring road.
The flight path is autistic, the plane travels aimlessly above the same areas and never aims for the center, the heart of the city, thus drawing metaphors of present-day Italy.
After “SILVIO, YOU’VE BURST THE LIFE RAFTS” on the sea, “FARCICAL ITALY” on the mainland.
The logo used is the old one, from the first “entry into the field” of the knight among us humans.
And I start from there, from that logo, the origin of the Berlusconi fiction, a meta-reality pumped with festive lights and fireworks. The FORCE at the origin has become FARCE at the end.
But FARCE ITALY is also something else, it’s a concept that reflects us from above in the traffic jam in a collective self-portrait, it’s a bittersweet tribute to Italy of anniversaries, it’s a popular and Roman allusion to non-truth, and why not, a chromatic match with the variegated blue of the sky!

Le voci di dentro

 

Le voci di dentro

Video-proiezione sull’ala Cosenza della GNAM e collegamento in streaming con l’Associazione Culturale SENZATITOLO
Roma, 21 luglio 2011, ore 20.30

Senzatitolo ospita una visualizz-azione di Iginio De Luca dal titolo Le voci di dentro. La proiezione delle immagini di opere, tutte appartenenti alla Collezione della GNAM, e dai titoli chiaramente allusivi alla situazione in cui versa la politica culturale in Italia, transiterà in streaming dalla facciata esterna dell’ala Cosenza, da anni in attesa di ristrutturazione, all’interno di uno spazio privato.
Questo nuovo intervento di Iginio De Luca si presenta come il viaggio ( tele-trasporto e/o metamorfosi) di opere, viventi all’interno di uno spazio istituzionale, in grado di diventare icone elettroniche, atti di denuncia e fantasmi capaci di ri-materializzarsi nei locali dello spazio privato di via Panisperna.
Le implicazioni e le suggestioni di questo corto-circuito tra pubblico e privato forniranno nuovi spunti di riflessione sulla funzione sociale e politica dell’espressione artistica .

 

“The Voices Within”

Video projection on the Cosenza wing of the GNAM and streaming connection with the Cultural Association SENZATITOLO
Rome, July 21, 2011, 8:30 PM

SENZATITOLO hosts a visualization by Iginio De Luca titled “The Voices Within.” The projection of images of works, all belonging to the Collection of the GNAM, and with titles clearly alluding to the situation of cultural politics in Italy, will be streamed from the external facade of the Cosenza wing, which has been awaiting renovation for years, into a private space.
This new intervention by Iginio De Luca presents itself as the journey (tele-transportation and/or metamorphosis) of works, living within an institutional space, capable of becoming electronic icons, acts of denunciation, and ghosts capable of re-materializing in the premises of the private space on via Panisperna.
The implications and suggestions of this short-circuit between public and private will provide new insights into the social and political function of artistic expression.

Stiamo lavorando per noi

Stiamo lavorando per noi

Intervento audio presso la “Casa della Memoria”
Roma, mercoledì 8 giugno 2011, via Tiburtina – S.Lorenzo, ore 20.00

In questo intervento c’è la volontà di dare voce ai luoghi, inserendo messaggi forti e allusivi che, attraverso immagini e suoni, reinventano continuamente i codici comunicativi.
Per questo ho scelto di agire su un luogo carico di connotazioni sociali e politiche, la “Casa della Memoria” in via Tiburtina, un fabbricato sbarrato e abbandonato, spettrale e pericolante, inaccessibile dall’esterno, che porta impresso i segni del bombardamento di Roma della seconda guerra mondiale.
Dall’edificio giunge al nostro orecchio una traccia audio che ripropone i momenti di massima euforia e ottimismo del governo Berlusconi, creando un palese effetto straniante che ben ricorda l’attuale situazione storica e politica del nostro paese.
Il tutto si svolge tra il tramonto e la sera, quando nessuna luce illumina l’edificio; solo l’audio è attivo, un audio che non si rivolge a nessuno, non c’è nessun elemento confortevole, solo buio e indifferenza.

 

We Are Working for Ourselves

Audio intervention at the “House of Memory”
Rome, Wednesday, June 8, 2011, via Tiburtina – San Lorenzo, 8:00 PM

In this intervention, there is a desire to give voice to places, inserting strong and allusive messages that, through images and sounds, continually reinvent communicative codes. For this reason, I chose to act on a place loaded with social and political connotations, the “House of Memory” in via Tiburtina, a barricaded and abandoned building, spectral and crumbling, inaccessible from the outside, which bears the signs of the bombing of Rome during World War II.
From the building comes an audio track that reproduces the moments of maximum euphoria and optimism of the Berlusconi government, creating a blatant alienating effect that well recalls the current historical and political situation of our country.
Everything takes place between sunset and evening, when no light illuminates the building; only the audio is active, an audio that does not address anyone, there is no comforting element, only darkness and indifference.

Brand

 

Brand

Video-proiezione del logo “ECC” sulle vetrine di via Condotti
Roma, 23 gennaio 2011, ore 23.00

Utilizzando un videoproiettore e un furgone che lo trasportava, ho proiettato il logo dell’Ente Comunale di Consumo sulle pareti laterali della via.
Come uno scanner il fascio luminoso ha indistintamente marchiato ogni cosa che incontrava sul suo cammino, sporcando e sfondando le vetrine che esponevano beni di “secondaria o superflua necessità” (e non di prima necessità come invece era per l’E.C.C.).
Il logo dell’Ente, una volta presente sulle carte oleate ad incartare il burro, ora si plasma anche sui vestiti -un altro tipo di incartamento- azzerando le distanze sociali, temporali e spaziali, varcando la soglia dell’irraggiungibilità e dell’intoccabilità di un’élite rappresentata dalle griffe dell’alta moda.
L’audio del video è stato registrato alla Garbatella, un quartiere popolare di Roma, in piazza Bartolomeo Romano e precisamente davanti al luogo dove, decenni fa, c’era una delle sedi dell’Ente.

 

Brand

Video-projection of the “ECC” logo on the shop windows of Via Condotti
Rome, January 23, 2011, 11:00 PM

Using a video projector and a van transporting it, I projected the logo of the Municipal Consumer Agency onto the side walls of the street.
Like a scanner, the beam of light indiscriminately marked everything it encountered on its path, dirtying and breaking the windows displaying goods of “secondary or superfluous necessity” (rather than essential goods as it was for the E.C.C.).
The logo of the Agency, once present on the oiled papers wrapping the butter, now also takes shape on clothes – another type of wrapping – erasing social, temporal, and spatial distances, crossing the threshold of the unreachability and untouchability of an elite represented by high fashion brands.
The audio of the video was recorded in Garbatella, a popular neighborhood in Rome, in Piazza Bartolomeo Romano, precisely in front of the place where, decades ago, one of the offices of the Agency was located.

Pastore a Montecitorio

 

Pastore a Montecitorio

Video-proiezione su Palazzo Chigi e intervento audio
Roma, 11 dicembre 2010, piazza Colonna, ore 21.00

Dopo “Lavami”, la proiezione luminosa apparsa poche settimane fa sulla cupola di S.Pietro, Iginio De Luca colpisce ancora. Questa volta con un tono diverso, più da neopaesaggista barocco che da “graffitista”, De Luca continua comunque ad incidere i suoi segni virtuali sulla città, animato da passione civile e politica. Ora è palazzo Chigi, sede del governo, che viene utilizzato come grande schermo sul quale proiettare le immagini di un gregge ripreso dal vivo, mentre intorno tutta la piazza Montecitorio si trasforma in un’installazione sonora riempita dalla voce di un pastore che richiama il gregge. “Pastore a Montecitorio” è il titolo di questa ultima azione visiva e sonora che nonostante la velocità dell’incursione da Street art, trasformerà uno dei luoghi istituzionali più importanti d’Italia, in un lento paesaggio visionario a grandezza naturale, richiamando in parte anche le origini remote del luogo. Il palazzo limitrofo progettato da Bernini è infatti un capolavoro architettonico che dissimula nella decorazione elementi naturali, rocce e rami spezzati e nell’insieme si adegua all’andamento curvilineo del piccolo “monte” che ha dato il nome al sito, come fosse un’altura di uno dei tanti paesaggi pastorali di fantasia del Seicento. Il gregge, la voce del pastore richiamano un tempo lontano, arcaico ed arcadico che trasforma il palazzo in uno schermo liquido ma, come ci ha abituati De Luca, anche questa
volta il suo intervento pubblico funziona quasi come fosse un “articolo di fondo” su un quotidiano. Puntuale, infatti, l’artista utilizza il palazzo del governo mentre quello della camera è chiuso, in attesa del fatidico 14 dicembre, giorno in cui verrà votata la fiducia al governo. In questa attesa l’autore inscena uno stallo che è un intervallo politico, da molti denunciato come la fase di compravendita dei voti: una vacanza di vera politica, quindi, che De Luca denuncia come grave assenza. La voce ancestrale del pastore è il cuore dell’evento che scuote una situazione di stallo generale, politico e sociale: un segnale forte di altri tempi, un suono umano ma anche selvaggio che non è fatto di parole comprensibili ma di energia sonora, sintomo di un umore che cova, di una direzione necessaria da prendere, di un progetto da affrontare. La proiezione in bianco e nero sulla facciata contribuisce ad innescare una serie di metafore: lo storico intervallo televisivo tra una trasmissione e l’altra, che è immediatamente richiamato, trasforma palazzo Chigi in un grande schermo TV che trasmette un programma che non c’è, tanto l’intervallo sta ad indicare l’assenza di trasmissione, il punto morto tra un prima che non c’è più ed un dopo che deve ancora venire. In questo tempo inerte le pecore pascolano abbandonate a se stesse: è il tempo appunto del mercato del voto. Come un “articolo di fondo”, appunto, il messaggio è chiaro nonostante l’uso metaforico di immagini e suoni che vengono da lontano ma il suo scopo ovviamente non è solo la trasmissione di un messaggio bensì reinventare un linguaggio in grado di raccontare il presente. Così De Luca traduce un pensiero in un evento da percepire sensibilmente prima ancora che razionalmente e aggiunge un elemento ulteriore al suo percorso che è la forza evocativa dei luoghi – usati come readymade ambientali – colti velocemente nell’attimo in cui essi stessi sono in grado, se aiutati, di visualizzare una situazione che ci riguarda tutti.

Franco Speroni

 

“The Shepherd at Montecitorio”

Video projection on Palazzo Chigi and audio intervention
Rome, December 11, 2010, Piazza Colonna, 9:00 PM

After “Lavami,” the luminous projection that appeared a few weeks ago on the dome of St. Peter’s, Iginio De Luca strikes again. This time with a different tone, more akin to neo-Baroque landscape art than “graffiti,” De Luca nevertheless continues to make his virtual marks on the city, animated by civic and political passion. Now it is Palazzo Chigi, the seat of the government, that is used as a large screen on which to project live images of a flock, while the entire Piazza Montecitorio transforms into a sound installation filled with the voice of a shepherd calling the flock. “The Shepherd at Montecitorio” is the title of this latest visual and auditory action that, despite the speed of the Street art incursion, will transform one of Italy’s most important institutional locations into a slow, life-sized visionary landscape, partly recalling the remote origins of the site. The adjacent palace designed by Bernini is indeed an architectural masterpiece that conceals natural elements in its decoration, rocks and broken branches, and as a whole, it adapts to the curvilinear layout of the small “mount” that gave the site its name, as if it were a hill in one of the many imaginary pastoral landscapes of the seventeenth century. The flock, the shepherd’s voice evoke a distant, archaic, and Arcadian time that transforms the palace into a liquid screen, but, as De Luca has accustomed us, even this time his public intervention functions almost like an “editorial” in a newspaper. Timely, in fact, the artist uses the government palace while that of the chamber is closed, awaiting the fateful December 14, the day when the government’s confidence will be voted on. In this waiting period, the author stages a stalemate that is a political interval, denounced by many as the phase of vote buying and selling: a true political vacation, therefore, which De Luca denounces as a serious absence. The ancestral voice of the shepherd is the heart of the event that shakes a situation of general stalemate, political and social: a strong signal from another time, a human but also wild sound that is not made of understandable words but of sound energy, a symptom of a smoldering mood, of a necessary direction to take, of a project to face. The black-and-white projection on the facade contributes to triggering a series of metaphors: the historic television interval between one program and another, which is immediately recalled, transforms Palazzo Chigi into a large TV screen that broadcasts a program that does not exist, as the interval indicates the absence of transmission, the deadlock between a past that no longer exists and a future that has yet to come. In this inert time, the sheep graze abandoned to themselves: it is indeed the time of vote trading. Like an “editorial,” in fact, the message is clear despite the metaphorical use of images and sounds that come from afar, but its purpose is not only to convey a message but also to reinvent a language capable of telling the present. Thus De Luca translates a thought into an event to be felt sensitively before it is understood rationally and adds another element to his path, which is the evocative power of places – used as environmental readymades – quickly captured in the moment when they themselves are able, if helped, to visualize a situation that concerns us all.

Franco Speroni

Lavami

 

Lavami

Proiezione laser della scritta “lavami” sulla cupola di S. Pietro
Roma, venerdi 5 novembre 2010, ore 22.00

La scritta “Lavami” si compone in grande, lettera dopo lettera, sulla cupola della basilica di S. Pietro a Roma, come quelle proiezioni luminose che nel cielo notturno di Gotham City annunciavano l’arrivo di Batman. “Lavami” è un graffito di luce simile a quelli disegnati con le dita sui vetri sporchi delle auto in sosta. Un graffito virtuale che proiettato su uno dei simboli più universali e più contraddittori del nostro immaginario collettivo è un invito all’istituzione che rappresenta a manifestare il suo volto accogliente e profetico piuttosto che quello temporale e opportunistico che troppo spesso la contraddistingue nelle sue prese di posizione caratterizzate da una doppia morale: una per il principe e un’altra per i sudditi. Un intervento, questo di Iginio De Luca, che usa i codici della Street Art: la velocità, l’irruzione, la notte e li riconduce alle origini delle avanguardie storiche, performance e spirito del cabaret, ad esempio, mescolando, come accadeva in quelle origini soprattutto dada, sensibilità sociale e ironia.
Dopo azioni di Guerrilla Advertising sui cartelloni elettorali, De Luca, citando solo gli interventi più recenti, ha proiettato in vari punti di Roma l’immagine del pontefice con la veste bianca macchiata, e prima ancora ha fatto volare uno striscione pubblicitario con la scritta “Silvio c’hai rotto li gommoni” , trascinata da un piccolo aereo lungo la costa laziale, popolata dalle folle estive al mare. I metodi della pubblicità più vernacolare, come quella dell’aereo, si uniscono a linguaggi pubblicitari metropolitani come le gigantografie e le scritte che, a loro volta, richiamano per la scelta di luoghi scenograficamente importanti una sensibilità neo-barocca.
La performance, l’installazione urbana effimera che ricordano in senso generale le grammatiche della Public Art e della della Street Art sono infatti solo alcuni degli ingredienti di queste incursioni di De Luca che tendono ad illuminare pezzi di cronaca incisivi sulla realtà profonda del nostro essere società ma che rischiano di sciogliersi rapidamente nel racconto dell’informazione mainstream. L’installazione, al contrario, pur nella sua qualità di incursione veloce, rimette al centro del discorso il problema che sta sfuggendo all’attenzione pubblica, vuole ricreare un nuovo spazio pubblico stimolando una
sensibilità condivisa intorno ad un problema comune.
Una serie di operazioni, quindi, che spostano la natura del graffitismo dalla dimensione più “privata” e neotribale legata ad un territorio di appartenenza – la strada, il quartiere, il ghetto – ad un’altra dimensione che è insieme più “pubblica” e metaterritoriale perché vuole attivare una comunicazione d’impatto estetico, dislocata su più piattaforme espressive: il luogo fisico, i giornali, le reti che sono ulteriori “materiali” a disposizione per la costruzione concreta dell’artefatto dell’arte contemporanea. Infatti gli interventi di De Luca non appartengono allo sfogo individuale, originariamente clandestino del graffitismo ma alla chiara presa di posizione personale e/o di gruppo che richiama l’esigenza propria delle origini delle avanguardie moderne e cioè quella di essere “realisti” ovvero usare i “materiali” reali e virtuali della contemporaneità per produrre una nuova dimensione dell’essere società, stando ben piantati nel proprio tempo, spesso con ironia, sempre con vigilanza critica: da qui il suo ironico ed icastico “J’accuse”.

Franco Speroni

 

Lavami, 2010

Laser projection of the inscription “lavami” on the dome of St. Peter’s Basilica
Rome, Friday, November 5, 2010, at 10:00 PM

The inscription “Lavami” is composed, letter by letter, on the dome of St. Peter’s Basilica in Rome, like those light projections that in the night sky of Gotham City announced the arrival of Batman. “Lavami” is a graffiti of light similar to those drawn with fingers on the dirty windows of parked cars. A virtual graffiti projected onto one of the most universal and contradictory symbols of our collective imagination is an invitation to the institution it represents to manifest its welcoming and prophetic face rather than the temporal and opportunistic one that too often distinguishes it in its positions characterized by double standards: one for the prince and another for the subjects. This intervention by Iginio De Luca uses the codes of Street Art: speed, intrusion, night, and brings them back to the origins of historical avant-gardes, performance, and cabaret spirit, mixing, as happened in those origins especially Dada, social sensitivity, and irony.
After Guerrilla Advertising actions on election billboards, De Luca, citing only the most recent interventions, projected images of the pontiff with a stained white robe in various parts of Rome, and even earlier flew a banner with the inscription “Silvio c’hai rotto li gommoni” (“Silvio, you’ve broken the rubber dinghies”), dragged by a small plane along the Lazio coast, populated by summer crowds at the sea. The methods of the most vernacular advertising, like that of the airplane, are combined with metropolitan advertising languages ​​such as giant posters and writings that, in turn, recall for the choice of scenographically important places a neo-Baroque sensibility.
The performance, the ephemeral urban installation that generally recalls the grammars of Public Art and Street Art are just some of the ingredients of these incursions by De Luca that tend to illuminate incisive pieces of news about the deep reality of our society but risk melting quickly in the narrative of mainstream information. The installation, on the other hand, despite its quality of fast incursion, puts the problem that is escaping public attention back at the center of the discourse, wants to recreate a new public space by stimulating a shared sensitivity around a common problem.
A series of operations, therefore, that shift the nature of graffiti from the more “private” and neo-tribal dimension linked to a territory of belonging – the street, the neighborhood, the ghetto – to another dimension that is both more “public” and meta-territorial because it wants to activate a communication of aesthetic impact, distributed on multiple expressive platforms: the physical place, newspapers, networks that are additional “materials” available for the concrete construction of the artifact of contemporary art. In fact, De Luca’s interventions do not belong to the originally clandestine individual outburst of graffiti but to the clear personal and/or group stance that recalls the own need of the origins of modern avant-gardes, that is, to be “realistic” or to use the real and virtual “materials” of contemporaneity to produce a new dimension of being a society, being firmly rooted in one’s own time, often with irony, always with critical vigilance: hence his ironic and iconoclastic “J’accuse”.

Franco Speroni

Il Papa macchiato

 

Il Papa macchiato

Video proiezione di Papa Ratzinger con la veste macchiata
Roma, venerdì 8 ottobre 2010, ore 22.00

Come una sorta di via Crucis la notte di venerdì 8 ottobre ho proiettato sui muri e sui monumenti di Roma Papa Ratzinger con la veste macchiata di unto. Di unto e non di sangue o di altri liquidi non ben identificabili.
Il Papa ha fatto il suo tour notturno illuminando la città: da Piramide alle mura Aureliane, da Porta Portese a S. Maria in Cosmedin e al Vittoriano, fino a Porta Pia e all’Ara Pacis, per concludere in via della Conciliazione con capolinea in piazza S. Pietro, colonnato di sinistra. È come se gli intonaci e le pietre di Roma quella notte avessero fatto affiorare un messaggio, trasudando un’immagine “sbagliata” profondamente debole e macchiata.
Macchie di olio, macchie di cucina, macchie di cibo insomma, perché, che si voglia o no, anche il Papa mangia e mangiando si sporca, nonostante in noi regni la sua icona plastificata e moltiplicata e non l’uomo, il corpo, con tutti i suoi bisogni. Un Papa che è come un bambino che non bada bene a se stesso e si lascia gocciolare il sugo sulla veste.
La macchia è il caso, il quotidiano, l’imprevisto, il non voluto che prende il sopravvento sull’etichetta, sull’immagine inviolabile e invalicabile, candida e pura.
In fase di elaborazione digitale, pensavo non fosse possibile neanche a livello informatico “ri-toccare” il Papa, profanarne il bianco con Photoshop e scavalcare un limite; evidentemente, la tecnologia è più democratica e permissiva del previsto!
Sporcare il bianco quindi, un bianco “omertoso” perché copre, un bianco irreale e distante: il bianco per me è offensivo nei confronti della gente comune, è un candore irreale, non è terreno, è distante dalla vita vera, manca di rispetto al genere umano e non si interessa ai suoi problemi, è su un altro piano percettivo. Nel momento in cui si vedono le macchie ecco che tutto ciò cambia: è come se le macchie fossero sempre esistite e ora, non si sa bene perché, cominciano ad affiorare e ad essere visibili.
Anche qui l’azione è stata “a salve”, epidermica e non ha violentato concretamente nessuna struttura pubblica, nessun muro. La video proiezione è efficace e nulla al contempo, basta accendere e spegnere un tasto e tutto appare o si dissolve, come in un sogno. La mia è un’immagine che presuppone sempre altro, ciò che sta dietro, che si deduce, qualcosa che viene invocato per mancanza, per sottrazione e allusione metaforica.

 

“The Pope Stained”

Video projection of Pope Benedict with a stained robe
Rome, Friday, October 8, 2010, 10:00 PM

Like a sort of Via Crucis, on the night of Friday, October 8, I projected onto the walls and monuments of Rome Pope Benedict with his robe stained with grease. Grease, and not blood or other unidentified liquids.
The Pope made his nightly tour illuminating the city: from Piramide to the Aurelian walls, from Porta Portese to Santa Maria in Cosmedin and the Vittoriano, to Porta Pia and the Ara Pacis, concluding on Via della Conciliazione with the endpoint in St. Peter’s Square, on the left colonnade. It’s as if the plaster and stones of Rome that night had brought forth a message, exuding a deeply flawed and stained “wrong” image.
Stains of oil, kitchen stains, food stains in short, because, whether we like it or not, even the Pope eats and eating he gets dirty, despite in us reigning his plasticized and multiplied icon and not the man, the body, with all its needs. A Pope who is like a child who does not take good care of himself and lets the sauce drip onto his robe.
The stain is chance, daily life, the unexpected, the unwanted that takes precedence over etiquette, over the inviolable and unassailable image, pure and candid.
During digital processing, I thought it wasn’t even possible on a computer level to “retouch” the Pope, profane his white with Photoshop and cross a boundary; evidently, technology is more democratic and permissive than expected!
Soiling the white, then, a “silent” white because it covers, an unreal and distant white: white for me is offensive to ordinary people, it is an unreal purity, it is not earthly, it is distant from real life, it lacks respect for the human race and does not care about its problems, it is on another perceptual plane. When you see the stains, everything changes: it’s as if the stains have always existed and now, for some reason, they begin to surface and become visible.
Even here the action was “harmless”, epidermal and did not concretely violate any public structure, any wall. The video projection is effective and at the same time, nothing, just turn on and off a button and everything appears or dissolves, like in a dream. Mine is an image that always presupposes something else, what is behind, that is deduced, something that is invoked for lack, for subtraction and metaphorical allusion.

Silvio c’hai rotto li gommoni

 

Silvio c’hai rotto li gommoni, 2010

Aereo da turismo con striscione che sorvola il litorale laziale.
Domenica 22 agosto 2010, ore 13.00

Mi piaceva l’idea di spostare il punto di vista vacanziero e portare un senso politico laddove sulla spiaggia quello che conta è il sole, il mare, la crema abbronzante e le chiacchiere spensierate; la scritta è una sorta di “installazione ambientale” perché parla di quello che c’è nel contesto, i gommoni appunto e sottolinea il luogo geografico, il litorale laziale, con quel “LI” romanesco come articolo per i gommoni. Non sarebbe stata uguale
se l’aereo avesse sorvolato le montagne del trentino, ovviamente. Lascio all’immaginazione del bagnante poi, tutte le metafore, le rime del caso e i collegamenti che può fare partendo da Silvio per approdare ai gommoni.
Anche qui fantastico la scena e me la gusto: una volta azzannato il panino col prosciutto, il bagnante alza distrattamente lo sguardo e viene attratto da qualcosa che non c’entra niente con quell’ambito ma che, per contrasto, gli desta curiosità, attenzione e, perché no, anche una risata: la scritta che, bella svolazzante, recita “SILVIO, C’HAI ROTTO LI GOMMONI”.
Non ultimo l’abbinamento cromatico tra il cielo azzurro splendente e il rosso della scritta; sotto sotto sono pur sempre un pittore e un esteta!
Anche qui l’accoppiamento di opposti: la leggerezza del contesto aereo, l’aria, il sole e la pesantezza-grevità del momento politico e della persona in questione
L’aereo per comunicare qualcosa, lanciare messaggi, di dannunziana memoria.
L’aereo destinato alla comunicazione pubblicitaria che stavolta cambia rotta e parla di politica, ma la pubblicità centra sempre, lui, Silvio, del commercio ne è il principale artefice e sostenitore. Ed è proprio sul suo terreno che vado ad incontrarlo, quello della diffusione di massa e degli slogan popolari. Il messaggio proviene dal suo interno, dal suo mondo e proprio per questo è più efficace e potente.

 

“Silvio c’hai rotto li gommoni”, 2010

Tourist plane with banner flying over the Lazio coast.
August 22, 2010, 1:00 PM

I liked the idea of shifting the holiday perspective and bringing a political sense to where the beach is all about the sun, the sea, the tanning lotion, and carefree chatter; the writing is a sort of “environmental installation” because it speaks of what is in the context, the rubber dinghies in particular, and underlines the geographical location, the Lazio coastline, with that “LI” in Roman dialect as an article for “gommoni” (rubber dinghies). It wouldn’t have been the same if the plane had flown over the mountains of Trentino, obviously. I leave it to the bather’s imagination then, all the metaphors, the rhymes, and the connections that can be made starting from Silvio and ending up with the rubber dinghies.
Here I fantasize the scene and savor it: once the bather has taken a bite of the ham sandwich, he absentmindedly looks up and is drawn to something that has nothing to do with that environment but, by contrast, arouses curiosity, attention, and, why not, even a laugh: the writing that, beautifully fluttering, reads “SILVIO, C’HAI ROTTO LI GOMMONI” (Silvio, you’ve broken the rubber dinghies).
Last but not least, the chromatic combination between the shining blue sky and the red of the writing; deep down I am still a painter and an aesthete!
Here too, the coupling of opposites: the lightness of the aerial context, the air, the sun, and the heaviness-gravity of the political moment and the person in question.
The plane to communicate something, to send messages, of D’Annunzian memory.
The plane destined for advertising communication that this time changes direction and talks about politics, but advertising always hits the mark, he, Silvio, is its main architect and supporter. And it is precisely on his turf that I go to meet him, that of mass dissemination and popular slogans. The message comes from within, from his world, and precisely for this reason, it is more effective and powerful.

Italia forza, ‘nculo vaffa

 

Italia forza, ‘nculo vaffa

Manifesto ritoccato con vernice spray, campagna elettorale di Forza Italia,
Viale Marco Polo, Roma

 

Italia forza, ‘nculo Vaffa

Poster retouched with spray paint, Forza Italia election campaign,
Viale Marco Polo, Rome

Homedoppler

Homedoppler, 2006

Video Pal, 4:3, colore, sonoro, durata: 7’09’’

Il lavoro abbina due contesti diversi: l’immagine, tratta da una ripresa ad infrarossi della casa dei miei genitori, e il suono del mio sangue che scorre, prelevato attraverso un’indagine ecografica-sonora che si chiama eco-doppler. Il ritmo del suono detta il montaggio delle immagini, fino a riunire i due contesti in uno: l’interno della casa è l’interno del mio corpo.

 

Homedoppler, 2006

Video Pal, 4:3, color, sound, duration: 7’09’’

The artwork combines two different contexts: the images, recorded by an infra-red camera from the house of my parents and the sound of my blood that flows, taken with an ultrasound test calledecho-doppler. The rhythm of the sound of my blood dictates the editing of the images, until the two contexts, reunite one on each other: the inside of the house is the inside of my body.

O dentro o fuori

O dentro o fuori, 2006

Video Pal, 4:3, colore, sonoro, durata: 1’27’’

A tratti un acquario viene scosso da scariche elettriche; i pesci si agitano a ritmo frenetico, impazziscono, poi tornano normali ma per sempre meno tempo. Le scariche diventano più frequenti e prolungate fino ad agitare vorticosamente i pesci ormai in preda a una velocità fuori controllo. Condizione interna o esterna? Pesci o api? Acqua o aria?

 

O dentro o fuori, 2006

Video Pal, 4:3, color, sound, duration: 1’27’’

At times an aquarium is shaken by discharges electrical; the fishes are stirring at a frenetic pace, they go crazy, then they come back to normal but for less and less period. The discharge becomes more frequent and prolonged until shaking whirling fishes now spinning out of control. Is this an internal or external condition? Fishes or bees? Water or air?

Se queste mura potessero parlare

Se queste mura potessero parlare, 2008

Video Pal, 4:3, colore, sonoro, durata: 3’29’’

Il lavoro consiste in uno schema planimetrico che orienta a 360° una serie di mini-film girati in super 8 da famiglie italiane degli anni 60’, 70’. Il titolo del lavoro si rifà alla metafora comune che vede protagoniste le nostre pareti di casa trasformate in spugne visive, in contenitori di vita domestica e di memorie familiari.

 

Se queste mura potessero parlare, 2008

Video Pal, 4:3, color, sound, duration: 3’29’’

The work consisted of a planimetric scheme that 360° orientates a series of mini-films shot in super 8 in the 60s/70s by Italian families. The title of the work links to the well-known metaphor that see protagonists our wall in the house transformed in sponges, in containers of domestic life and the family’s memories.

 

Video installazione della mostra “Daily Life” a cura di Federica La Paglia, CIAC Castello di Genazzano – 2008

I miei pupi

I miei pupi, 2007,

Video Pal, 4:3, b/n, sonoro, durata: 4’27’’

Il lavoro si sviluppa sulla falsariga di “Autofocus”, mettendo in atto lo stesso meccanismo di “entrata” e di “uscita” mia sulle fotografie dei miei genitori (questa volta contemporaneamente e a figura intera). La sovrapposizione, però, diventa più ironica e le figure statiche sembrano animarsi come dei burattini. Il contesto spaziale è dato dall’audio; i suoni d’ambiente sono stati registrati a Campodimele, paese in provincia di Latina, luogo dove 30 anni fa fu scattata la fotografia.

 

I miei pupi, 2007,

Video Pal, 4:3, b/n, sound, duration: 4’27’’

The work develops following the model of “Autofocus”, using the same “in” and “out” mechanism of myself on the photographs of my parents (this time simultaneously and on a whole figure ). However, the overlapping becomes more ironic and the static figures seem to come alive like puppets. The spatial context is made by the audio; the sounds of the environment have been recorded at Campodimele, a town in the province of Latina, a place where 30 years ago the photograph was shot.

Autofocus

Autofocus, 2006,

Video Pal, 4:3, b/n, sonoro, durata: 4’11’’

Il lavoro è un video-autoritratto, un gioco per alternare dramma, stupore e ironia. Appaiono in successione due ritratti fotografici; i primi piani di un uomo e di una donna, i miei genitori. Su entrambe le immagini cerco di sovrapporre, in trasparenza, il mio volto, tentando il miracolo di ridare vita a delle figure statiche.

 

Autofocus, 2006,

Video Pal, 4:3, b/n, sound, duration: 4’11’’

The artwork is a video-self-portrait, a game to alternate drama, amazement and irony. Two photographic portraits appear one after the other (on the screen); the close-ups of a man and a woman, my parents. In both images, I try to overlap my face in transparency, aiming the miracle of reviving two static figures.

Suite

 

Suite, 2005

Mostra personale, Associazione culturale SENZATITOLO, Roma
A cura di Liliana Dematteis e Massimo Arioli

Suite è una installazione di immagini e suoni pensata da Iginio De Luca per lo spazio Senzatitolo, La memoria familiare rincorsa attraverso indizi differenti per natura, non è più traccia di un passato distante ma di un presente vivo. Lo spazio si popola di oggetti domestici i cui profili sono tracciati sui muri utilizzando i ritagli delle foto di fa- miglia mentre la proiezione luminosa di una planimetria manifesta il bisogno di restituire le immagini e i suoni a un ordine taciuto ma mai ignorato.

Massimo Arioli

 

Suite, 2005

Personal exhibition, Associazione culturale SENZATITOLO, Roma
Curated by Liliana Dematteis and Massimo Arioli

Suite is an installation of images and sounds created by Iginio De Luca exclusively for spazio Senzatitolo. Family memories expressed by different symbols are not faded and connected to a far away past, but still alive throughout the present. The space is filled with house objects with their profiles on the wall drawn by the family photos cutting outs and a lighting plan wanting to restore those images and sounds to an omitted but never ignored order.

Massimo Arioli

Se queste mura potessero parlare

se queste mura potessero parlare, installazione sonora, fasi di registrazione

 

Se queste mura potessero parlare, 2005

Installazione sonora, Residenza Torre d’Orlando, Castiglion della Valle (PG)

In questo lavoro sonoro mi immergo nelle profondità di una torre medievale, catturando con un microfono sensibile i suoni generati dallo sfregamento delle mie mani sugli oggetti e i materiali circostanti. Il risultato è un assemblaggio acustico che, dopo secoli di silenzio, abita le mura antiche di questo luogo, una narrazione sonora che va oltre il semplice registro visivo,  dialogando con il passato, le storie e le persone che negli anni hanno abitato questo spazio.

 

Se queste mura potessero parlare, 2005

Sound Installation, Residence Torre d’Orlando, Castiglion della Valle (PG)

In this sound work, I delve into the depths of a medieval tower, capturing with a sensitive microphone the sounds generated by the rubbing of my hands on objects and the surrounding materials. The result is an acoustic assembly that, after centuries of silence, inhabits the ancient walls of this place, a sound narrative that goes beyond the simple visual record, engaging in a dialogue with the past, the stories, and the people who have inhabited this space over the years.

Traccia Audio

 

 

 

Homefocus

 

Homefocus, 2005-2008

poliestere ritagliato su fotografia

De Luca ha deciso di muoversi nel territorio che spazia tra decostruzione e ricomposizione dei segni e ha situato il suo lavoro su uno sfondo rischioso e ostico per il gusto contemporaneo, scegliendo di privilegiare la memoria familiare, il diario privato, la dimensione domestica. I fogli di poliestere opalino intagliati secondo l’architettura domestica ruotata e variata nella scala, ripiegati e sovrapposti alle fotografie di volti o di gruppi, permettono una lettura parziale che lascia intravedere proprio nell’atto di escludere.
La distanza tra poliestere e superficie fotografica accentua dinamicamente la sensazione di fuori-fuoco e insiste, alimentando la differenza tra visibile e pressoché invisibile, sulla funzione di traguardo assunta da un disegno fondato sull’azione di asportare particolari in eccesso. Tutto il lavoro sembra fondato sulla tesi per cui il punto di vista mediato dai modelli familiari induce a vedere ciò che già sappiamo guardare.

Massimo Arioli

 

Homefocus, 2005-2008

Polyester cut on photography

De Luca has decided to move within the territory that ranges between deconstruction and recomposition of signs and has placed his work against a risky and challenging backdrop for contemporary taste, choosing to privilege family memory, private diary, and the domestic dimension. Opaline polyester sheets cut according to rotated and varied domestic architecture in scale, folded, and overlaid on photographs of faces or groups, allow for a partial reading that reveals precisely in the act of excluding. The distance between polyester and photographic surface dynamically accentuates the sensation of blur and insists, fueling the difference between visible and nearly invisible, on the function of a goal assumed by a design based on the action of removing excess details. The entire work seems to be based on the thesis that the perspective mediated by family models induces us to see what we already know how to look at.

Massimo Arioli

Home, Suite Home

 

Home, suite home, 2007

Fotografie ritagliate, 40 x 30 x 5 cm.

“Home Suite Home”, è un assemblaggio fotografico di trame e memorie della mia infanzia, un’installazione fotografica che intreccia il passato e il presente, plasmando uno spazio in cui le esperienze familiari si fondono con l’architettura stessa della casa in cui sono state create. Le fotografie d’epoca sono sovrapposte e stratificate, abitando con le immagini gli ambienti vissuti senza le mura divisorie, creando volumi tridimensionali, strati visivi e spaziali.
Le immagini sovrapposte formano una narrazione complessa, un blocco unico a spessore emotivo, la casa diventa molto più di una struttura architettonica: è una spugna visiva problematica, articolata, un rifugio per l’anima, un santuario di memorie e un’occasione di identità.

 

Home, suite home, 2007

Photographs cut out, 40 x 30 x 5 cm.

Home Suite Home’ is a photographic assemblage of textures and memories from my childhood, a photographic installation that intertwines the past and the present, shaping a space where family experiences merge with the very architecture of the house in which they were created. Vintage photographs are overlaid and layered, inhabiting the lived environments without dividing walls, creating three-dimensional volumes, visual and spatial layers. The overlapping images form a complex narrative, a unique block with emotional depth; the house becomes much more than an architectural structure: it is a problematic, articulate visual sponge, a refuge for the soul, a sanctuary of memories, and an opportunity for identity.